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Farmaci come “guastatori”: la terapia innovativa per la cura dei tumori neuroendocrini

Utilizzata per la prima volta nei giorni scorsi all'ospedale di Mestre la terapia

Farmaci come "guastatori" contro i tumori neuroendocrini: per la prima volta, nei giorni scorsi, la medicina nucleare dell’ospedale di Mestre ha utilizzato, su un paziente valutato idoneo, la nuova terapia radiorecettoriale con il farmaco Lutathera nella cura delle particolari forme di neoplasie rare che aggrediscono intestino, pancreas, tiroide, ghiandole surrenali. Certificata come efficace dagli studi presentati in letteratura e portatrice di risultati assai soddisfacenti, questa terapia viene praticata quindi anche all’Angelo, uno dei tre centri attivati nel Veneto, a partire dalla presenza di specialisti, competenze, attrezzature e locali idonei.

«Da oggi all’Angelo si contrastano con la nuova terapia – spiega il primario, il dottor Michele Sicolo – i tumori neuroendocrini. Queste forme tumorali, non molto frequenti poiché si parla di 4/5 casi per 100mila abitanti all'anno, si sviluppano da cellule presenti in molti organi dell’organismo, ma prevalentemente dal tratto gastro-enteropancreatico. Nella maggior parte dei casi sono ben controllati dalla terapia classica, che è in prima battuta chirurgica e successivamente farmacologica». Le cellule di questi tumori presentano sulla membrana dei recettori per la somatostatina, un ormone presente nel nostro organismo: quindi per la terapia farmacologica possono essere utilizzati degli analoghi della somatostatina, che riescono a legarsi in modo specifico a questi recettori, come una chiave con la propria serratura, e bloccare la crescita delle cellule tumorali.

Come funziona il farmaco

«A volte però ci troviamo di fronte ad una malattia metastatica – sottolinea il dottor Sicolo – che progredisce malgrado la terapia, nonostante la diagnosi iniziale di basso grado di malignità, e che origina dal tratto gastro-enteropancreatico. Ecco: è in questi casi che viene presa in considerazione una nuova terapia radiorecettoriale con Lutathera». Il farmaco è costituito da una proteina simile a quella utilizzata per la terapia farmacologica, in grado di legarsi allo stesso modo ai recettori presenti sulle cellule. Nel Lutathera però alla proteina si aggiunge una sostanza radioattiva, il Lutezio177, che agisce come una vera e propria squadra di guastatori: «Legatasi alle cellule tumorali – spiega il primario – questa sostanza radioattiva mette delle radiazioni corpuscolate, che come proiettili percorrono solamente qualche millimetro, e che nel loro percorso sono in grado di danneggiare e distruggere tutte le cellule che incontrano e quindi, in sostanza, di curare il tumore”. In altre parole il radiofarmaco, iniettato in vena al paziente, si lega solo ed esclusivamente alle cellule tumorali metastatiche ovunque esse siano presenti e, penetrando nelle stesse ed emettendo la radiazione è in grado di distruggerle selettivamente.

Quattro, a distanza di due mesi, le sedute infusive previste dalla terapia con Lutathera; nel corso del trattamento è attraverso l’indagine scientigrafica che si verifica l’effettiva concentrazione del radiofarmaco nella sede tumorale, presupposto per l’efficacia del trattamento. Il primo paziente sottoposto al primo trattamento è stato quindi dimesso dopo due giorni di degenza all’Ospedale di Mestre, e proseguirà nei prossimi mesi il ciclo di terapia. 

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