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Il sesto uomo

Il sesto uomo

A cura di Matteo Viotto

La favola di Tony Watt

C'era una volta un giovane ragazzo scozzese di nome Tony Watt, nato negli ultimi attimi del 1993, il 29 dicembre per l'esattezza. Il fanciullo cresceva felice a Coatbridge, sobborgo che dista appena 16 km da Glasgow, in una famiglia di tifosi Celtic. Le frequenti piogge e le uggiose giornate che accompagnavano la sua infanzia non gli impedivano di coltivare la sua grande passione: il calcio. Con il sangue biancoverde che gli fluiva nelle vene, correva e pascolava nei campetti con gli amici tentando di emulare le gesta dei suoi campioni preferiti. Un bel giorno Tony, sfogliando un giornale, scorse un annuncio: l'Airdrie United, squadra che militava nella serie cadetta scozzese e in piena crisi finanziaria, cercava giovani reclute disposte ad arruolarsi nel caso il provino d'accesso fosse positivo. Il ragazzino, che viveva proprio nella terra di mezzo fra Airdrie e il centro di Glasgow, non ci pensò due volte e decise così di tentare la fortuna presentandosi al campo con delle scarpe da calcetto. Non aveva mai giocato in una squadra vera, non aveva né esperienza né conoscenza tattica ma incredibilmente riuscì a salire sul treno della vita, quello che passa una volta sola. Venne preso e Jimmy Boyle lo schierò titolare due settimane dopo con l'under 17. Il piccolo Anthony iniziò a segnare senza fermarsi più e non ancora sedicenne fu spedito nell'under 19, con la quale continuava a siglare reti su reti. L'esordio in prima squadra lo attendeva dietro l'angolo, ormai era soltanto questione di tempo. La sua esistenza assunse le sembianze di un sogno e, durante la partita contro il Cove, entrò dalla panchina e firmò le due reti della vittoria. 


Però questa, come tutte le favole, non può finire qui... 


Jimmy, l'allenatore che lo aveva coccolato dal provino in poi, guardò il giovane, spaesato e spensierato, e gli disse: "Caro ragazzo, qui non abbiamo nulla da darti, né da insegnarti. Ti faccio andare al Celtic, buona fortuna".
Il sogno, in realtà, era appena iniziato. Tony venne abbagliato da un fulmine a ciel sereno e riuscì a coronare il suo più grande desiderio, quello di giocare nella squadra per la quale lui e la sua famiglia hanno sempre tifato. La prima partita fu gloriosa: due gol in 5 minuti nel campo del Motherwell entrando, come sempre, dalla panchina. 
L'atmosfera che avvolgeva la sua vita era quella tipica della cittadina in cui viveva. Glasgow era  composta da persone umili, grandi lavoratori che per anni hanno dormito in fabbrica sperando in un futuro più roseo. Il loro essere spartani e generosi era stato emozionalmente trasferito anche nel loro modello calcistico. 
Nel bel mezzo di un piovoso autunno scozzese i Bhoys si apprestavano a celebrare i 125 anni dalla nascita del loro club e, il medesimo giorno, solcarono il prato del Celtic Park i giocatori della squadra più forte al mondo: il Barcellona. 
Piqué, Xavi, Iniesta e Messi erano solo alcuni dei nomi che aleggiavano fra le tribune dello stadio prima dell'incontro valevole per la fase a gironi della Champions League. 
Era il compleanno dei biancoverdi e in tanti sognavano una notte da tramandare ai posteri. 
Poteva essere una partita qualunque, l'ennesima prova di forza degli extraterrestri blaugrana, ma non fu così. Passarono circa venti minuti e il giovane Victor Wanyama colpì di testa uno spiovente da calcio d'angolo e regalò il vantaggio ai padroni di casa. 

 Il commentatore, impazzito, urlò: “That moment, when a dream becomes reality!”

Nessuno ci credeva, la partita era ancora lunga e tutti erano perfettamente consapevoli di cosa fossero capaci i giocatori del Barcellona. L'allora, anche lui giovane, portiere Fraser Forster compì interventi miracolosi permettendo al Celtic di mantenere il minimo vantaggio. L'incontro era entusiasmante ma erano i blaugrana a fare la partita. La dea bendata sorrise due volte ai padroni di casa quando Alexis Sanchez e Leo Messi videro le loro traiettorie infrangersi sui legni della porta biancoverde. 

Poi, ad un tratto, successe qualcosa di inaspettato. 

L'allenatore dei Celtic Neil Lennon si voltò verso la panchina e fece cenno a Tony di iniziare il riscaldamento. Dagli spalti trasudavano le poche speranze dei tifosi che sulle note del loro inno “You'll never walk alone” tentavano di celare il timore e la paura per il costante assedio degli ospiti. 
Era giunto il momento: fuori Lustig e dentro la giovane promessa Watt. 
Non passarono nemmeno 10 minuti dal suo ingresso nel verde manto del Park, e un rilancio liberatorio malamente lisciato da Javier Mascherano si trasformò in un assist per l'attaccante scozzese. Tony correva veloce come quando, due anni prima, giocava al campetto con gli amici. Arrivò in un baleno davanti a Victor Valdes e lo trafisse con un destro perfetto che si insaccò all'angolino basso. Celtic 2, Barcellona 0. 
E il fanciullo non si fermò più, continuò a correre verso la bandierina del calcio d'angolo, incredulo, per andare a prendersi ciò che gli spettava. Venne travolto dai compagni mentre i 60 mila presenti  osannavano un giovane ragazzo di appena 18 anni e, non appena riuscì a liberarsi dagli abbracci, tornando verso il centro del campo, afferrò lo stemma biancoverde sulla maglia e lo guardò sorridendo con la tipica innocenza di un adolescente innamorato di quei colori sin da quando era bambino.

Pochi istanti più tardi, Messi riuscì ad accorciare le distanze ma non fu sufficiente ad evitare la caduta degli dei ed Anthony, grazie alla sua rete decisiva, regalò agli storici tifosi del Celtic una notte che non venne mai più dimenticata.


Sarebbe una bella favola, non trovate? 

Peccato che sia tutto vero. 

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