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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Martellago

Salviato: "Rivivo la mia prigionia, io pagherei subito un riscatto. Riportiamoli a casa"

All'indomani del rapimento di due tecnici italiani in Libia, parla il lavoratore di Martellago ostaggio dei fondamentalisti: "Non sarebbero questi soldi a cambiare le carte in tavola"

"Di fronte a queste notizie rivivi ciò che ti è accaduto. Ti fa male. Perché non è cambiato nulla". A parlare è Gianluca Salviato, l'ex tecnico della Enrico Ravanelli di Venzone, in provincia di Udine, che il 22 marzo del 2014 venne rapito in Libia dai fondamentalisti islamici. Ora la storia si ripete. Lunedì mattina due cittadini italiani, Danilo Calonego e Bruno Cacace, e un uomo canadese, sono stati rapiti a Ghat, nel sud della Libia. Calonego, di Sedico, nel Bellunese, e Cacace, 56enne residente a Borgo San Dalmazzo, Cuneo, lavorano per una società italiana con sede a Mondovì che si occupa della manutenzione dell’aeroporto locale. 

"Dalle prime notizie sembra siano stati rapiti da gruppi di Tuareg, non da fondamentalisti - commenta Salviato, di Martellago - ma la dinamica del blitz è simile alla mia. Sono stati bloccati mentre erano in auto da uomini armati". Il tecnico, che ora sta ben attento a tornare in Nord Africa e in Libia in particolare, da quando si è saputo ciò che è accaduto ha rivissuto quei momenti, mettendosi nei panni dei parenti che hanno sofferto con lui. A migliaia di chilometri di distanza: "Se fossi lì con i due rapiti consiglierei la calma - continua - sono momenti in cui non capisci niente. In cui vedi davanti a te persone incappucciate e armate. E' normale farsi prendere dalla paura. E' difficile, ma serve stare il più possibile sereni. Gli uomini della Farnesina lavorano molto bene, sono stati vicini ai miei famigliari. Ho fiducia in loro". 

Se si chiede a Salviato cosa dovrebbe fare il governo per risolvere la situazione, il giudizio è netto: "Sono dell'idea che l'obiettivo deve essere di riportarli a casa sani e salvi - dichiara - Anche con un riscatto. Non sono questi soldi a cambiare le carte in tavola. Daesh per esempio i fondi se li prende da un'altra parte. Quello della Libia è un contesto anomalo. Dobbiamo entrare nella testa dei rapitori, perché non sono azioni politiche come potevano essere quelle delle Brigate Rosse. Lì si ragiona con una logica tribale, del resto il mondo occidentale ha cercato di esportare la democrazia come fosse un fustino di Dixan. I risultati sono sotto gli occhi di tutti". Il pensiero va anche a chi, per la mancanza di lavoro in Italia, finisce a lavorare in teatri pericolosi come quello libico: "Le difficoltà di questi tempi ti costringono a farlo", conclude amaro.

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