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Cronaca

I fondi neri dei calzaturifici all'estero: come gli imprenditori facevano sparire milioni di euro

Intermediari padovani e svizzeri indagati per aver trasferito nei paradisi fiscali capitali non dichiarati. Dall'indagine sulle tangenti di Galan è emerso un sistema di riciclaggio molto più vasto

Tra le più grosse c'era la Caovilla, azienda di calzature di lusso con sede a Fiesso d'Artico: anche il fondatore Renè Fernando, il "re delle scarpe", si sarebbe rivolto agli intermediari svizzeri Filippo San Martino e Bruno De Boccard affidando loro i proventi dell'evasione fiscale. Erano tanti gli imprenditori veneti che agivano allo stesso modo, facendo versare milioni di euro in nero in società con sede nei cosiddetti paradisi fiscali (Panama, Nicaragua, Bahamas, Curaçao); soldi che venivano reinvestiti all'estero, oppure tornavano in Italia ripuliti. Né Caovilla né gli altri imprenditori sono direttamente coinvolti nell'indagine portata a termine oggi: le loro posizioni sono state oggetto di altre operazioni della guardia di finanza, oppure sono state regolarizzate con scudo fiscale nel 2009, oppure ancora prescritte. San Martino e De Boccard, invece, risultano indagati a piede libero per violazione delle norme sul riciclaggio.

Gli impreditori evasori

I capitali gestiti illegalmente dagli indagati (oltre agli svizzeri ci sono i commercialisti Guido e Christian Penzo e Paolo Venuti, dello studio PVP, assieme alla moglie di quest'ultimo, Alessandra Farina) arrivavano da almeno una decina di esponenti di spicco dell'imprenditoria veneta: 5 milioni sarebbero stati affidati agli intermediari dagli immobiliaristi F.C. e M.C.; 2,3 milioni da Caovilla; 250mila euro da Ignazio e Filippo Baldan, di un altro calzaturificio fondato a Vigonovo; 1 milione da Odino Polo, albergatore; 1,2 da Sergio Marangon; 1,5 da Roberto e Luca Frasson; 13,6 milioni da Giovanni Roncato (quello delle valigie); 3 milioni da Maria Rosa e Stefano Bernardi, albergatori di Montegrotto. Altri hanno fatto sparire importi minori. I nomi degli imprenditori sono stati trovati in una lista in possesso di San Martino e De Boccard, professionisti che avevano messo in piedi, secondo gli inquirenti, un sistema di riciclaggio enorme: le indagini hanno consentito di ricondurre all'operato degli svizzeri la gestione di capitali per circa 250 milioni di euro (chissà quanti in modo regolare e quanti no), probabilmente provenienti da imprenditori di tutto il mondo. Secondo i finanzieri, però, potrebbero essere molti di più.

Gli investimenti

Capitolo a parte per Damiano Pipinato, padovano, anche lui attivo nel settore delle calzature, il quale negli anni avrebbe trasferito all'estero ben 37 milioni di euro. Somme che venivano poi impiegate per investimenti immobiliari di varia natura. A Padova, Pipinato aveva acquistato una palazzina e due immobili, uno sede di Mediaworld e l'altro sede della sua azienda. Altri appartamenti li aveva acquistati a Dubai. Pipinato, come gli altri imprenditori, nel frattempo ha regolarizzato la sua posizione con il Fisco. I finanzieri, alla fine, hanno sequestrato beni per circa 12 milioni di euro appartenenti alle società fittizie gestite dai commercialisti padovani e dagli intermediari svizzeri: conti correnti, immobili a Padova e in Sardegna, veicoli, quote di società. Le responsabilità degli indagati sono emerse nel corso degli accertamenti della guardia di finanza sulle presunte tangenti percepite da Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto, nell'ambito della vicenda Mose: anche Galan, secondo gli investigatori, si era rivolto allo studio PVP per far sparire il denaro acquisito illecitamente.

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