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Cronaca Marghera / Via delle Industrie

Morì colpito dal getto della pompa. La perizia inchioda l'azienda: "Protezioni inadeguate"

Spiro Kozdhima, residente a Favaro, perse la vita il 21 luglio scorso mentre lavorava al Petrolchimico di Marghera. "Colpa di una 'pistola' mal funzionante e di una tuta troppo sottile"

Una "pistola" difettosa e una tuta sottile. Troppo sottile per riuscire a proteggere il corpo di Spiro Kozdhima, 53 anni, lacerato dal potentissimo getto della pompa d'acqua mentre lavorava al Petrolchimico di Marghera. Una morte terribile avvenuta il 21 luglio scorso, l'ennesima tragedia sul lavoro che sollevò scalpore ed ebbe vasta eco nel mondo del lavoro come nella politica. Gli esiti della consulenza tecnica dell'ingegner Mario Dell'Isola, incaricato dal Pm Rita Ugolini di ricostruire la dinamica dell'incidente, parlano chiaro: "Le cause dell'infortunio mortale sono state obiettivamente determinate dal mancato intervento del dispositivo automatico della pistola per il blocco del getto una volta rilasciato il grilletto, e nell'uso di dispositivi di protezione individuali, in particolare una leggera tuta in tyvek, evidentemente del tutto insufficienti a proteggere il corpo in caso venga colpito dal getto d'acqua, anche se ad una pressione nell'ordine di 350 atmosfere”.

Ora c'è in ballo un procedimento penale al Tribunale di Venezia che vede indagato per omicidio colposo E.B., 62 anni di Mirano, in qualità di vice presidente del consiglio di amministrazione, con poteri di “datore di lavoro”, della ditta di cui il 53enne era dipendente, la Sirai Srl di Mestre: una grossa impresa esterna che lavora in appalto all'interno del Petrolchimico, che si occupa, tra l'altro, di interventi di bonifica di suoli e acque contaminati. "Queste conclusioni inchiodano l'azienda alle sue pesanti responsabilità", spiega Studio 3A, società di valutazione di responsabilità civili e penali a cui si sono rivolti i familiari della vittima. Una richiesta di fare chiarezza giunta a gran voce non solo dai congiunti della vittima ma anche da parte dei colleghi e dei sindacati, che all'indomani dell'accaduto proclamarono un'ora di sciopero per tutto il Petrolchimico, denunciando ancora una volta la pericolosità delle condizioni di lavoro all'interno del complesso, i subappalti e la gare al ribasso a scapito della tutela della sicurezza dei lavoratori.

"Quella mattina Spiro Kozdhima, che è deceduto nella zona del cracking - racconta Studio 3A - stava effettuando la pulizia e disincrostazione di massicce strutture in acciaio e legno (fenders) mediante una pistola (lancia) ad acqua in pressione a 350 bar, indossando ghette in Kevlar, guanti in gomma, una maschera pieno-facciale e una tuta in tyvek. Per svolgere il lavoro l'operaio era salito sul lato superiore, in posizione orizzontale ad un'altezza di un metro e mezzo da terra, dove le strutture lignee rotte e mancanti avevano creato notevoli cavità e fessure. Dopo pochi minuti dall'inizio delle operazioni, l'albanese perse l'equilibrio cadendo lateralmente, abbandonando la lancia e quindi rilasciando il grilletto della pistola". A quel punto il potentissimo getto in pressione dell'acqua, ormai privo di controllo, continuò a "sventagliare" e colpì, tagliandola, la leggera tuta in tyvek "e poi le corrispondenti sottostanti parti molli del torace, perforando il lobo superiore del polmone sinistro e causando il decesso dell'uomo". Una morte atroce, sopraggiunta, nonostante i prolungati e disperati tentativi di rianimazione.

"La principale anomalia è data, appunto, dal mancato funzionamento del dispositivo di sicurezza della pistola: quando l'operatore rilascia il grilletto, l'erogazione dell'acqua dovrebbe bloccarsi". Così non è stato: "Un mal funzionamento dovuto probabilmente alle condizioni di usura: la pistola è stata anche smontata pezzo per pezzo, il che ha consentito di appurarne un uso prolungato, con incisioni e scrostamenti della dipintura, e un'accentuata ossidazione delle teste dei bulloni a brugola, uno dei quali non originale". Oltre a questo, l'incidente è stato determinato anche dal mancato uso di dispositivi di protezione individuali adatti. Il consulente tecnico d'ufficio spiega che “la tuta in tyvek, praticamente di tessuto 'cartaceo', è idonea soltanto a proteggere l'operatore da schizzi di prodotti chimici e/o altri prodotti aggressivi, e infatti è stata tagliata dal getto in pressione che ha inferto le lesioni mortali all'operaio".

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