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Cronaca

Caso Mose, un anno dal clamoroso blitz che sconvolse la laguna

Il 4 giugno del 2014 i finanzieri hanno bussato alle porte di trentacinque persone, tra politici e imprenditori, per la notifica dei provvedimenti d'arresto

Un immenso sistema di tangenti e corruzione, che toccava personaggi di spicco appartenenti a quasi tutti gli ambiti della politica e dell'imprenditoria lagunare. Esattamente un anno fa, il 4 giugno del 2014, si impose all'attenzione del pubblico il caso Mose, un "ciclone" destinato a sconvolgere gli equilibri politici di Venezia. I finanzieri bussarono alle porte di 35 persone, tra politici e imprenditori, per la notifica dei rispettivi provvedimenti d'arresto. Accuse furono rivolte a Giancarlo Galan, senatore di Forza Italia, chiamato in causa come ex governatore del Veneto per 15 anni, e all'assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, poi dimessosi dalla giunta. Per loro l'ipotesi più pesante, quella di corruzione. Tra i destinatari anche l'allora sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, finito ai domiciliari per alcune settimane per finanziamento illecito per la sua campagna elettorale del 2010.

IL CASO MOSE: TUTTI I DETTAGLI

È trascorso un anno da quella mattina in cui, con una ordinanza firmata dal Gip Scaramuzza, la procura lagunare ha portato a galla un giro di affari a favore di politici ed addetti agli apparati dello Stato, foraggiati da imprenditori con fondi neri e denaro pubblico legato alle opere di messa in sicurezza della laguna di Venezia dalle maree eccezionali, il sistema Mose. Oltre ai tre - Galan, Chisso e Orsoni - nell'inchiesta erano finiti altri nome di peso nella politica regionale - come l'ex tesoriere veneto del Pd Giampiero Marchese - e uomini dello Stato, come l'ex generale della guardia di finanza Emilio Spaziante e i due ex presidenti del magistrato alle Acque, Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta. Nell'inchiesta finì in un secondo tempo anche l'ex ministro all'Ambiente Altero Matteoli, indagato come gli altri per presunte tangenti.

L'indagine costituiva la terza tranche dell'inchiesta sui fondi neri all'estero creati da alcuni degli imprenditori legati al Consorzio Venezia Nuova, all'epoca presieduto da Giovanni Mazzacurati. Le prime due fasi avevano fatto finire in carcere personaggi come Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani, e Claudia Minutillo, imprenditrice ed ex segretaria del governatore Galan. Poi era toccato allo stesso "leader" del consorzio, Mazzacurati. I tre avevano patteggiato, poi grazie alle loro dichiarazioni era partita gran parte della tempesta giudiziaria successiva.

Secondo gli inquirenti in cinque anni i fatti contestati avrebbero fruttato illecitamente oltre un centinaio di milioni di euro a singoli, società e partiti. Il pool di magistrati, coordinati da Carlo Nordio, decretò tra l'altro sequestri per 40 milioni di euro. Anche in questa fase molti degli indagati optarono per il patteggiamento, a cominciare da Galan e Chisso: il primo ha concordato con la Procura il 2 anni e 10 mesi da scontare ai domiciliari, oltre alla restituzione di 2,6 milioni di euro; al secondo toccarono 2 anni e 6 mesi di carcere, senza richiesta di denaro perché risulta nullatenente. Entrambi hanno poi ricorso in Cassazione. Per Orsoni, invece, fallito il patteggiamento perché respinto dal Gip, si attende la data del processo: dovrà rispondre dei 500mila euro che secondo la Procura avrebbe ricevuto dal Cvn come finanziamento della campagna elettorale. Nel frattempo il Consorzio Venezia Nuova è stato commissariato e la conclusione dell'opera è slittata dal 2016 al 2017.

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