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Cronaca Musile di Piave

«Ascione fu subdolo, vigliacco e violento»: le motivazioni della condanna all'assassino

Dura la valutazione del giudice nei confronti del killer di Mariarca Mennella. I trent’anni di pena sono stati ridotti di un terzo per il rito abbreviato

Sono state depositate le motivazioni della sentenza (20 anni di reclusione) nei confronti di Antonio Ascione per l’assassinio dell’ex moglie Maria Archetta Mennella, che abitava a Musile di Piave. È stata esclusa l'aggravante dei futili motivi, perché Ascione, «una volta accertatosi della nuova relazione che lei aveva intrecciato con un collega di lavoro, e compreso che qualsiasi progetto di ripristino della relazione coniugale era impossibile, ha avuto l’impulso di uccidere e ad esso non si è sottratto»; e anche quella della premeditazione, perché «non ha mai agito con animo freddo e con la possibilità di ponderare il recesso del proposito, visto che proprio la lettura dei messaggi WhatsApp (tra l’ex moglie e il nuovo partner, ndr) lo avevano gettato in una sorta di delirio». Riconosciuta invece la sussistenza delle aggravanti del delitto commesso in danno del coniuge e della minorata difesa. Rigettate le attenuanti generiche invocate dall'avvocato difensore di Ascione.

Subdolo e violento

Duri i toni usati dal giudice del tribunale di Venezia, Massimo Vicinanza, secondo il quale Ascione «ha agito in modo subdolo, perché da un lato ha mostrato di accettare la scelta della moglie di porre fine alla relazione coniugale, dall’altro non ha fatto altro che controllarne la vita, l’ha spiata, insultata, minacciata, l’ha ricattata anche utilizzando i figli minori, arrivando addirittura a perorare il suo licenziamento e quello di chi lavorava con lei»: il killer pretendeva con insistenza che i titolari del negozio nell’outlet di Noventa di Piave dove Mariarca lavorava la licenziassero e lasciassero a casa pure due giovani colleghi, al punto che la direttrice del punto vendita aveva presentato un esposto al commissariato di polizia.

Minacce

La mattina del 19 luglio 2017 la vittima, in un massaggio whatsApp all’ex marito, si lamentava con lui scrivendogli: «uno, io non sono pazza; due, il mio privato non ti interessa; tre, hai violato la mia privacy leggendo le chat di wapp; quattro, mi hai mi minacciata con un coltello». Per inciso, Ascione è stato dichiarato colpevole anche del reato di minaccia aggravata, per il quale avrebbe avuto una ulteriore pena di sei mesi (nove meno i tre dell’abbreviato) «che sarebbe da porre in aumento con quella principale», recitano le motivazioni, se non fosse che «la pena da applicare per il concorso dei reati non può essere in ogni caso superiore ad anni trenta di reclusione, diminuita per il rito». È grazie alla scelta del rito abbreviato, infatti, che Ascione ha ottenuto lo sconto di pena arrivando alla pena di vent'anni di carcere.

Lettera ignobile alla figlia

Non solo. «Proprio con la figlia – prosegue il giudice – Ascione dopo il delitto ha tenuto la condotta peggiore, con l’invio di una missiva con la quale rivelava il pin del telefono della madre affinché la quindicenne potesse essa stessa controllare la nuova relazione della mamma: una lettera veramente ignobile, che contiene anche accuse alla povera Mennella, madre (assassinata) di chi di quella lettera era destinataria». Per il giudice «Ascione ha colpito la povera Mennella in modo a dir poco vigliacco, quando la donna stava ancora a letto, appena cessato il riposo notturno (…), ha abusato dell’ospitalità nella casa dell’ex moglie, piegandola a una sorta di perenne controllo, e ha persino avuto la pretesa di giustificare il proprio gesto inviando quella lettera alla figlia e mettendo in risalto quella che era stata la “colpa” della madre. Pertanto, se l’azione delittuosa è stata caratterizzata dalla viltà, il comportamento successivo si connota per riprovevolezza non solo morale, perché incide anche sul danno che già era stato provocato ai figli».

Pena e risarcimento inadatti

Insomma, le motivazioni inchiodano l'imputato alle sue responsabilità ma la pena inflitta è considerata da molti insufficiente. «Il limite sta nella legge - ha commentato l’avvocato di parte civile Alberto Berardi, che assiste i familiari della vittima con la collaborazione di Studio 3A -. Parlerò con il Pm per capire se ha intenzione e se vi siano i margini per impugnare la sentenza». Penalmente non può proporre ricorso, ma ha annunciato di volerlo fare in sede civile perché «anche il risarcimento disposto dal giudice è scarno» (50mila euro per ciascuno dei due figli minori, 30mila per la madre di Mariarca e 20mila per ognuno dei cinque fratelli, oltre a tremila euro per l’associazione “Bon’t Worry – Noi Possiamo Onlus”).

La famiglia: «Indignati»

«Ascione non ha solo ammazzato in modo proditorio e brutale nostra sorella, ma le ha reso la vita un inferno, sia durante il matrimonio, sia dopo la separazione: la picchiava, non pagava gli alimenti per il mantenimento dei figli, causandole gravi difficoltà economiche, la controllava, la opprimeva, come uno stalker. Tutte circostanze che vengono ben evidenziate nelle motivazioni della sentenza. Ciò che indigna è che a una persona del genere, a fronte di tutto ciò che ha commesso, siano state concesse tutte queste agevolazioni». Così commentano le sorelle e il fratello di Maria Archetta Mennella.

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