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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Fatture false, usura, estorsioni: gli affari della 'ndrangheta tra Padova e Venezia

Operazione dei carabinieri e dei finanzieri coordinati dell'antimafia. I malavitosi offrivano prestiti ad aziende in difficoltà e poi ne prendevano il controllo, riciclando denaro sporco. 33 arresti

Ancora criminalità organizzata in Veneto. Poche settimane fa una vasta operazione anticamorra aveva portato a una cinquantina di arresti nel Veneto orientale. Stavolta l'epicentro dell'operazione è l'area di Padova, ma le aziende coinvolte (una quindicina, operanti perlopiù nel settore dell'edilizia) sono sparse nel territorio: buona parte di esse hanno sede nella zona a cavallo con la provincia di Venezia, e in particolare nella Riviera del Brenta. A occuparsi dell'indagine, assieme ai carabinieri di Padova, è stata la guardia di finanza di Mirano, che in queste ore ha tirato le somme di un'attività proseguita per diversi anni: le imprese, secondo gli inquirenti, erano utilizzate per riciclare denaro attraverso l'emissione di fatture per operazioni inesistenti. A condurre le indagini è la procura distrettuale antimafia di Venezia, che ha disposto le ordinanze cautelari e numerose perquisizioni tra Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Calabria.

Numeri e accuse

Con i 33 di oggi sale a un centinaio il numero di persone arrestate nell'ultimo mese in Veneto per reati legati all'infiltrazione della criminalità organizzata, con sequestri per un totale di oltre 20 milioni di euro. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, violenza, usura, sequestro di persona, riciclaggio, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. L'indagine ha evidenziato la presenza nel territorio di una articolazione della cosca dei Grande Aracri di Cutro (Crotone), che si era insediata nella provincia di Padova e poi in quelle di Treviso, Vicenza e Venezia.

Riciclaggio e documenti falsi

I malavitosi («una realtà profondamente radicata nel mondo economico e imprenditoriale veneto», ha sottolineato il procuratore Bruno Cherchi, facendo riferimento in particolare ai «nipoti del Grande Aracri, che sono in Veneto da tempo») sfruttavano le imprese per riciclare denaro sporco provento di altre attività criminali. In particolare attraverso la creazione di fatture false che facevano emettere a ditte compiacenti (spesso in difficoltà) per ripulire le somme in cambio di prestiti e favori.

Denaro per corrompere gli imprenditori

Due le fasi principali con cui gli n'dranghetisti si infiltravano nel tessuto economico. Individuate le aziende vi si inserivano corrompendo imprenditori in difficoltà economica con cifre cospicue. Questi accettavano di emettere fatture false relative a prestazioni inesistenti, intascando il denaro corrispondete all'iva (mai versata allo Stato) e un fondo in nero concesso dai mafiosi. Con questi soldi gli imprenditori non solo investivano nelle proprie attività, ma effettuavano anche spese personali, spesso convinti di aver trovato la strada per risollevarsi dalla crisi.

Violenze verso chi si ribellava

I tassi di usura oltre il 300% hanno però portato diverse vittime a tirarsi indietro, facendo scattare la seconda fase dell'approccio: quella violenta. Intimidazioni, minacce, aggressioni fisiche per soggiogarli fino a far inserire i fedelissimi della cosca come soci se non addirittura titolari delle imprese, estromettendo di fatto i legittimi proprietari. «Una volta entrati nel giro mafioso non se ne esce - ha commentato il procuratore Cherchi - Gli imprenditori che pensano di avere un rapporto paritario con gli 'ndranghetisti, di poter contrattare e cogliere un'opportunità di rilancio della propria azienda per poi tirarsene fuori, finiscono minacciati e aggrediti. È un atteggiamento ingenuo».

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