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Cronaca

Ancora arresti e perquisizioni nel giro di usura legato alla 'ndrangheta

È la prosecuzione di un'operazione che a marzo aveva portato a 33 arresti tra i territori di Padova e Venezia. Tra gli indagati c'è un notaio padovano

Ci sono nuovi sviluppi dell'operazione che a marzo 2019 ha portato all'arresto di 33 persone in seguito all'accertamento di un ampio giro di usura ed estorsioni in varie province del Veneto, con fulcro a Padova. All'alba di oggi, i carabinieri del Nucleo investigativo di Padova e i finanzieri di Mirano hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Antonio Genesio Mangone, calabrese di Cariati, personaggio "noto" e accusato del reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso; contemporaneamente sono state eseguite 21 perquisizioni nelle province di Venezia, Padova, Treviso, Vicenza e Rovigo (undici delle quali a carico delle vittime). Ci sono quattro indagati, tra cui un notaio padovano, un imprenditore già arrestato a marzo e due "collaboratori" di Mangone, un vicentino e un trevigiano.

Minacce e violenza

Le indagini, dirette dalla procura antimafia di Venezia, hanno accertato che le vittime sono state costrette con la forza a restituire soldi ricevuti in prestito a tassi di interesse esorbitanti. Il calabrese avrebbe agito «con violenza, minaccia e avvalendosi della condizione di intimidazione derivante dalla sua appartenenza alla ‘ndrangheta». Mangone, che era già destinatario di custodia domiciliare nell’ambito della precedente operazione “Camaleonte”, fa riferimento, secondo gli investigatori, alla cosca Grande Aracri di Cutro. Il giudice, come detto, ne ha disposto il trasferimento in carcere. Tre sarebbero gli episodi contestati. Il primo, ai danni di un imprenditore veneziano, M.B. (già indagato nella precedente indagine), che sarebbe stato costretto a firmare (con la complicità del notaio padovano indagato) un atto in cui dichiarava di aver ricevuto da Mangone il denaro per avergli ceduto un immobile. Ma lui l'assegno non l'ha mai ricevuto. Il secondo episodio vede come vittima un altro imprenditore veneziano, L.L., al quale erano stati prestati dei soldi con tassi usurari del 20 per cento mensili. L'ultimo è il caso di un imprenditore costretto a dichiarare di aver ricevuto due assegni (mai ottenuti) per un appalto.

Omertà

Portare a galla la verità, per gli investigatori non è stato facile a causa della scarsa collaborazione da parte degli imprenditori coinvolti: un'omertà che è «motivo di forte preoccupazione», secondo il procuratore Bruno Cherchi: «C’è la necessità di una partecipazione di chi subisce - ha detto - invece dobbiamo purtroppo riscontrare che almeno in questo caso non c’è stata». Il «radicamento della criminalità organizzata è ormai stabile, in questo caso tra Padova e Venezia - ha aggiunto -. Il mondo imprenditoriale deve fare una riflessione e stimolare gli imprenditori ad avere fiducia nell’attività delle forze di polizia. È un dato di allarme il fatto di essere stati costretti a fare perquisizioni nei confronti delle parti offese per acquisire i documenti di prova».

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