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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Niente sesso per "salvare" il matrimonio ai carcerati: «Non è un motivo valido»

Un detenuto chiedeva il diritto alla sessualità dopo le nozze, ora la Cassazione ribadisce che il permesso straordinario è ammesso dalla legge solo in casi di "particolare gravità"

Consumare il matrimonio celebrato durante la detenzione non è un motivo valido per ottenere un permesso straordinario: è quanto stabilito in questi giorni dalla Corte di Cassazione, che ha respinto la richiesta di un trentenne detenuto per associazione mafiosa (e la cui pena termina nel 2034) di incontrare la moglie in una casa di accoglienza. La sentenza, in pratica, ribadisce che il permesso straordinario di lasciare il carcere è ammesso dalla legge solo in casi di particolare gravità, come la morte di un familiare.

L'uomo, che dalla compagna ha già avuto due figli, si è sposato nel 2009: all'epoca era detenuto e chiese di poter "consumare il matrimonio", ritenuto requisito essenziale delle nozze, senza aspettare di maturare i tempi "lunghissimi" necessari per ottenere un permesso premio. La richiesta è stata respinta dal giudice di sorveglianza di Venezia, che ha sottolineato come "l'esercizio dell'affettività, inteso come espressione della sessualità", è assicurato al detenuto dal permesso premio e non dal cosiddetto permesso "di necessità".

La prima sezione penale della Cassazione (sentenza n. 882), nel confermare il giudizio, sottolinea che rientra nella discrezionalità del legislatore la possibilità di concedere permessi in via straordinaria per i "soli casi di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente e, solo eccezionalmente, per eventi familiari di particolare gravità", in ragione del fatto che tale permesso "non costituisce un beneficio premiale" che, al contrario, non può essere concesso a tutti i detenuti ma richiede "una soglia minima di pena già espiata e la positiva valutazione della condotta in carcere".

La Cassazione evidenzia che la Corte Europea dei Diritti dell'uomo ha ricordato che la detenzione "comporta, per la sua stessa natura, una restrizione alla vita privata e familiare e che tali restrizioni sono legittime se non abbiano ecceduto quanto necessario": in questo caso, per "la gravità dei reati", "il lontano fine della pena" e il breve periodo fin qui trascorso in carcere, "le limitazioni alla vita privata del ricorrente risultano del tutto proporzionate".

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