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Cronaca

Baita alza il tiro: "Scandalo Mose? E' una vicenda romana, non solo un caso locale"

L'ex amministratore delegato della Mantovani: "Mazzacurati voleva fare il parasindaco". Conferma tangenti e fondi neri. L'ex ministro Matteoli allontana da sé le accuse di corruzione

"La vicenda è stata spiegata male. Il Mose è un caso nazionale, non un caso locale. A qualcuno ha fatto comodo che venisse spiegato così". A dichiararlo è stato l'ex amministratore delegato della Mantovani, Piergiorgio Baita, uscendo dall'aula di tribunale al termine del controesame del processo nel quale sono rimasti otto imputati, tra cui l'ex sindaco Giorgio Orsoni (finanziamento illecito), l'ex ministro Altero Matteoli, e l'ex presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva (entrambi per corruzione). Matteoli al termine dell'udienza ha rilasciato delle dichiarazioni spontanee per allontanare da sé le accuse sulle presunte tangenti ricevute dal Consorzio Venezia Nuova.

Da par suo Baita ha confermato le sue dichiarazioni dell'udienza precedente, dicendosi contento che siano uscite tutte le intercettazioni: "Da lì - ha spiegato uscendo - si capisce che Mazzacurati era preoccupato. Perché lui faceva gli interessi del Consorzio. Io invece volevo che l'opera si concludesse il prima possibile. Sta qui la differenza. Ma i soldi arrivavano da Roma, è una storia di respiro nazionale. Tanti lì stanno tirando un sospiro di sollievo vedendo come è stato trattato lo scandalo". Baita davanti agli avvocati difensori degli imputati (l'ex ministro Matteoli come detto era presente in aula) e al pool di magistrati che ha condotto le indagini ha di nuovo spiegato il sistema del "12%", con cui veniva costituito il fondo nero con cui oliare la politica. I costi delle prestazioni venivano gonfiati per poi essere ritornati in contanti al Consorzio. 

"Quelli sapevamo che erano soldi che non avremmo più visto", ha sottolineato Baita. Le rimostranze dei consociati arrivavano quando il Cvn, con l'ex presidente Giovanni Mazzacurati, attingeva dalle riserve contabili del Consorzio: "Quelli erano soldi delle imprese, oltre al rischio c'era anche il danno", ha spiegato l'ex ad della Mantovani, che ha continuato a tirare in ballo l'ex ministro Altero Matteoli: "In quel periodo il ministero dell'Ambiente era sempre stato vicino ad Alleanza Nazionale". In definitiva ha alzato il tiro, spiegando che l'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, aveva messo in piedi un sistema che avrebbe dovuto garantire la sopravvivenza del Cvn. Per Baita l'ingegnere mirava a diventare l'uomo delle grandi opere, con le spalle protette dalla politica "foraggiata" con gli stessi soldi delle imprese consorziate. Costrette a pagare per lavorare. Per chi non ci stava, ha detto Baita, Mazzacurati si trasformava in un "killer". 

Allo stesso modo mirava a far sì che il Cvn "diventasse un interlocutore di peso per la città di Venezia". Qui nasce lo scontro con il sindaco Giorgio Orsoni: "E' uno scontro che per noi consorziati aveva poco senso - ha affermato Baita - perché la nostra idea era finire l'opera e chiudere. L'idea di Mazzacurati invece era di fare del Consorzio un interlocutore di peso sulla città. E' stato uno scontro su chi voleva fare il sindaco e chi il paradindaco. Noi soci non ci entrammo nella questione. Per noi era  uno scontro inutile che comprometteva gli sforzi economici che avevamo fatto, come finanziare l'America's Cup o entrare nella partita dell'ex Ospedale al Mare. Mazzacurati è un king maker nato. Lui riteneva di avere fatto "re" Orsoni con le elezioni, appoggiandolo poi in operazioni poco giustificabili. Per questo la questione dell'Arsenale l'aveva indispettito molto. Lui era riuscito a  farsi dare dallo Stato una concessione di un bene pubblico con investimenti pubblici ma in concessione a privati. Incredibile se ci pensate".

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