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Cronaca Meolo

Sventato il sequestro della figlia di un imprenditore, cinque in manette

Tre malviventi albanesi sono stati arrestati alle 13 di ieri a Meolo. Avevano già la pistola carica. Fermati anche il "basista" della banda, un rappresentante italiano, e suo cugino, l'intermediario

Avevano deciso di colpire di lì a poco. All'ora di pranzo. Il caricatore della "zastava" (pistola semiautomatica slava) alla cintola di Eduart Arapi Mastrangioli, 32enne di origine albanese, era già stato caricato con otto cartucce calibro 7,65. I passamontagna e le stringhette di plastica erano a portata di mano sotto al sedile di guida. Tutto era pronto. Il piano era di fingersi operai, entrare in una villa tra Martellago e l'inizio del Terraglio, che gli inquirenti stanno cercando di individuare, sequestrare la figlia dell'imprenditore finito nel mirino, e aspettare il suo ritorno. Farsi consegnare i soldi poi sarebbe stato un gioco da ragazzi.

IL GRUPPO D'AZIONE - Mastrangioli, il "capo" della batteria d'azione, evaso dal carcere di Barcellona nel dicembre scorso "volatilizzandosi" durante un permesso premio, il cugino Eduard Lufi, 25enne di origine albanese, e il nipote di entrambi Ledjan Lugia, 23enne loro connazionale, tutti residenti in un condominio di Cessalto, non sapevano di avere la polizia alle calcagna. E soprattutto non sapevano che ieri mattina gli agenti avevano captato dalle loro telefonate la frase "colpiamo all'ora di pranzo", mentre effettuavano l'ultimo sopralluogo vicino al loro obiettivo.

Tentato sequestro della figlia di un imprenditore, cinque arresti


L'ARRESTO E LA "TALPA" - I tre sono stati arrestati alle 13 a una rotonda di Meolo su una Mercedes presa a noleggio. Avevano già spento i cellulari per non lasciare tracce "telematiche" e avevano effettuato lunghi giri per "disinnescare" eventuali pedinamenti. Circondati con otto volanti, non è rimasto loro altro che arrendersi. Ma il trio era solo il "gruppo di fuoco". Quello dei "lavori sporchi". Chi individuava gli obiettivi e si informava sulle abitudini delle vittime era Corrado Di Giovanni, 50enne di Pasiano di Pordenone, fermato nella notte a poche ore di distanza dal cugino Massimo Di Giovanni, 31enne di Ponte di Piave, che invece fungeva da intermediario con i rapinatori veri e propri.

 

VIDEO: LE ARMI SEQUESTRATE


L'ASSALTO ALLA VILLA DI GRAZIANO ZUCCHETTO - Questo non era il loro primo colpo. Corrado Di Giovanni, infatti, rappresentante di vernici, per via della sua professione di imprenditori ne conosceva tanti, e con alcuni di questi aveva allacciato rapporti di collaborazione molto stretti. Tanto da conoscere a menadito le abitudini delle loro famiglie, e dove si trovavano gioielli e cassaforti. Come nel caso di Graziano Zucchetto, l'imprenditore 45enne rapinato la sera del 16 febbraio scorso nella sua villa a Pramaggiore e ferito al piede da un colpo di pistola. Erano stati loro, i tre albanesi fermati ieri. In quel caso il "capo" Mastrangioli, solo con Zucchetto davanti alla cassaforte nascosta in cantina, di fronte alla reazione inaspettata della vittima aveva tentato di sparare un secondo colpo di pistola mirando al fianco dell'uomo. Ma l'arma si è inceppata, salvando la vita al 45enne, che quando ha saputo degli arresti è scoppiato in lacrime. Poi la fuga dei malviventi con la Porsche del padrone di casa, lasciata il giorno seguente nel Sandonatese.

 

VIDEO - IL QUESTORE DELLA ROCCA: LA RAGAZZA ERA IN PERICOLO"

LE INDAGINI E L'INDIZIO CHIAVE - Il commissariato di Portogruaro e la squadra mobile di Venezia sono partiti da lì per arrivare a capo della faccenda. Ed è stato il "basista" Corrado Di Giovanni a metterli sulla buona strada, quando, due giorni dopo il colpo, aveva contattato l'imprenditore, che conosceva bene, chiedendo notizie su cosa fosse successo, e soprattutto su che indizi avesse in mano la polizia. Un interesse strano, esagerato. Gli inquirenti da lì poi hanno scoperto che il rappresentante aveva un cugino di vent'anni di meno, Massimo, nullafacente e assiduo frequentatore di night club. In più fermato spesso in macchina con pregiudicati per rapina. Scattano i pedinamenti e le intercettazioni telefoniche e ambientali. Per un mese vengono registrati gli assidui contatti dei due cugini con i tre uomini albanesi, soprattutto con Mastrangioli, il cui cognome italiano deriva da un'adozione di una famiglia abruzzese quando aveva 18 anni. Massimo Di Gennaro e l'evaso "spagnolo", infatti, erano diventati amici frequentando gli stessi locali tra Jesolo e Treviso. Lo scambio di informazioni avveniva tra loro.

 

VIDEO - IL DIRIGENTE DELLA MOBILE ODORISIO: "LA SITUAZIONE STAVA PER PRECIPITARE"

 


ALTRI DUE ASSALTI SVENTATI - Intercettandoli, gli inquirenti sono riusciti a sventare altre due rapine in villa progettate dall'organizzazione. Una il 17 marzo a Mansuè, in provincia di Treviso, e una il 20 marzo a Pasiano di Pordenone, sempre ai danni di imprenditori nel settore dei mobili. Arrivati sul posto, i malviventi si sono trovati le case vuote, "inspiegabilmente". In realtà sono stati gli inquirenti a consigliare ai residenti di prendersi una vacanza e non farsi trovare all'appuntamento con i rapinatori.

ASSOCIAZIONE A DELINQUERE - Ora tutti e cinque gli arrestati, che si trovano in isolamento nel carcere di Santa Maria Maggiore, dovranno rispondere di associazione per delinquere, tentato omicidio (per via del secondo colpo di pistola "rimasto in canna" durante la rapina a Graziano Zucchetto), rapina aggravata, tentata rapina aggravata (nei casi di Monsué e Pasiano di Pordenone) e porto di armi clandestine.

 

LE ARMI SEQUESTRATE DALL'OPERAZIONE DELLA POLIZIA

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