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Economia

Produttori di pere in ginocchio per la cimice, chiesto avvio della pratica di calamità

Confagricoltura Venezia: «L'insetto può mandare in fumo dal 60 al 100 per cento del raccolto in un anno»

Una pera tanto apprezzata la Kaiser, come i tedeschi la chiamano. Una coltura che soddisfava il 60 per cento del mercato estero, quella del litorale veneziano, dove la specie, dicono gli agricoltori, prende quel colore rosso ruggine tipico, grazie alla vicinanza con il mare. Oggi la Kaiser è in pericolo. Le coltivazioni 20 anni fa nel Veneziano superavano il migliaio di ettari, oggi sono 250 circa. Grande l'investimento richiesto all'inizio: almeno 50-60 mila euro a ettaro, per un guadagno di 11-12 mila euro all'anno, sulla stessa superficie. Nel 2015-2016 è arrivata la catastrofe, spiega il presidente di Confagricoltura Venezia, Giulio Rocca. La cimice asiatica.

Gli attacchi della cimice

L'attacco si è diretto verso migliaia di frutti, ha causato milioni di danni, messo in ginocchio gli agricoltori del litorale veneziano. L'insetto può mandare in fumo dal 60 al 100 per cento del raccolto in un anno. Stesso destino tocca alla mela, al kiwi, perfino alle noci. Circa 100 le aziende coinvolte. E così il prodotto lo compriamo dai paesi esteri, «dove non c'è la possibilità di escludere alcuni fitosanitari, perché ogni paese ha le sue regole», dice l'imprenditore Marco Persico. Noi possiamo fare trattamenti protettivi due volte all'anno, non sufficienti contro la cimice. Così tanti passano ai vigneti», più remunerativi.

Calamità

«Ora chiediamo - dice Rocca - che la Regione sia capofila, al Ministero dell'Agricoltura, per l'avvio della pratica di calamità naturale». E che sia riconosciuto un risarcimento alle aziende colpite. In base, suggerisce Stefano Musola, presidente sezione frutticoltura di Confagricoltura, al dato sulla produzione lorda vendibile, da comparare con gli storici degli anni precedenti. Bene i 3 milioni regionali per la ricerca sugli insetti antagonisti, come la vespa samurai. Ma richiede tempo. Come l'approvazione dell'entrata di specie di insetti non autoctone, al momento non consentita sul nostro Paese dalla legge. «L'importante è far capire che si tratta di un flagello al pari della peste suina e continuare la ricerca e la sperimentazione, se non si vuole perdere del tutto la coltura».

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