"Non vero (e bello)", la poesia di Guido Gozzano rivive al Teatro a l'Avogaria
La condizione dell'arte al giorno d'oggi vista attraverso la vita e la poesia di Guido Gozzano. "Non vero (e bello)", lo spettacolo di e con Jacopo Zerbo, storico collaboratore di Dario Fo, il ciclo de i "Martedì dell'Avogaria", rassegna che ha presentato in laguna alcuni fra gli spettacoli più interessanti nel panorama drammaturgico nazionale. "Non vero", nel centenario della sua morte, mette al centro la vita di Guido Gozzano, uno dei più grandi attori del Novecento.
Sì, perché quello che a scuola viene normalmente presentato come un poeta in realtà è qualcosa di più, è un poeta che recita, che si mette in scena, talmente bravo da essere ricordato più per il personaggio che si è costruito in poesia che per l’uomo che era in realtà. Un artista che crea un mondo fantastico popolato di suoi alter ego e di donne che non esistono, e lo fa in un periodo storico in cui la poesia e l’arte vengono poste sempre più in secondo piano. Oggi come allora l’arte grida, fa di tutto per essere notata, ricordata, salvata. Ma se gridare non fosse la strada giusta?
Gozzano è un artista borghese che come pochi altri comprende la grettezza della classe sociale in cui lui stesso è nato e decide di usare la narrazione poetica per raffigurare ironicamente lo svuotamento di umanità e di sensibilità culturale che pervade il suo tempo. E il nostro. Un poeta per cui l’arte veniva prima di ogni altra cosa. Un attore che partiva dal suo materiale personale per descrivere la condizione di un mondo in cui l’arte è ormai diventata una “cosa di trastullo”. Ma che “rubava” anche le parole dei grandi autori del passato, perché l’arte, come sanno gli attori, si ruba.
E quest’attore propone una strada possibile: l’esilio, la rinuncia, non a fare arte, ma a tentare di combattere il denaro e l’impoverimento culturale sul loro stesso terreno. L’esilio come tentativo di custodire l’arte, come rifiuto di adattare il teatro e la poesia alle “esigenze” e ai “ritmi” della società dei consumi. Perché l’arte non diventi una merce, l’ennesima applicazione dell’intrattenimento globale. Jacopo Zerbo, alternando brani gozzaniani a momenti di racconto, ci fa conoscere un artista che vede la società di cui fa parte involgarirsi e scivolare nell'apatia dei sentimenti.