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L'unità dei comitati per l'autonomia di Venezia e Mestre

Il dibattito di sabato al 9 Bistrot di via Pascoli apre la campagna dei cittadini e dei gruppi per il «Sì» al referendum fissato dalla Regione per il primo dicembre

Uniti e compatti per l'autonomia. Mestre Mia, Mestre e Venezia due grandi città, Gruppo25Aprile e MuoverSI, i comitati tra gli altri al tavolo di sabato, a mezzogiorno, nel locale 9 Bistrot di via Pascoli a Mestre sul referendum che la Regione ha fissato per il primo dicembre. Dopo il silenzio degli ultimi 16 anni, per via dei ricorsi contro la consultazione, a rovesciare l'illegittimità decretata dal tribunale amministrativo, è arrivata la sentenza del Consiglio di Stato del 18 settembre scorso. «Niente a che vedere con le amministrative di maggio 2020 - garantiscono le associazioni - siamo civici e trasversali. Non apparteniamo ad alcun partito politico. Non abbiamo fallito nel combattere a favore del decentramento amministrativo - dice Marco Gasparinetti, portavoce del Gruppo25Aprile -. Chi doveva difenderlo istituzionalmente ha fatto ricorso perdendolo per decorrenza dei termini della presentazione». Deve essere l'ultima istanza, la consultazione referendaria, spiega Gasparinetti, ricordando i 20 punti costitutivi del comitato, «è solo l'ultimo strumento, dopo che gli altri sono falliti. Il fine è un'amministrazione più vicina ai cittadini. Siamo autonomisti - sottolinea Gasparinetti - non separatisti. È come se un marito pensasse che in una coppia la donna deve rimanere chiusa in casa e la riempisse di botte per esser uscita a fare due chiacchiere con gli amici. Stiamo parlando di riconoscimento dell'autonomia dei componenti della coppia, non di separazione. Di sicuro - conclude - le tasse per le affissioni che a Mestre i negozianti pagano due volte tanto rispetto a quelle dei colleghi dei Comuni limitrofi, si abbasserebbero, così come la tassa sui rifiuti».

Mestre senza autonomia prima del fascismo

«Fu il sindaco con la barba a dire che la questione si sarebbe risolta nell'ambito dell'area metropolitana - afferma Sergio Barizza, scrittore ed ex responsabile degli Archivi storici del Comune di Venezia -. Ma lui non parlava di area metropolitana, bensì di città. E qui c'è l'inghippo della legge 56 del 2104, la Delrio, per cui le aree metropolitane hanno cambiato il titolo della province. La città metropolitana  - dice Barizza - si potrebbe ancora fare, mettendo assieme Comuni molto vicini territorialmente e con interessi simili. Ma Venezia e Mestre non c'entrano nulla di sicuro con Cona e Portogruaro. Il problema di Mestre - come periferia non autonoma di Venezia - nasce molto prima del fascismo. A Venezia - ricorda - non c'erano spazi per le industrie (e infatti i magazzini del cotone e la Carbonifera di viale Ancona erano porto di Venezia sussidiario di Mestre) nel 1905-1906. Nel 1911, a traino della nuova economia in terraferma, bisognava risolvere anche il problema delle case a Venezia. Il politico veneziano Piero Foscari disse in Consiglio comunale: «faremo case a Sant'Elena, al Lido e ai Bottenighi (la Marghera di allora). Quando uscì il decreto del Porto in terraferma, durante il fascismo, la prima parte di territorio annessa fu proprio Marghera, nel 1917».

Promesse e ricorsi

«In terraferma vivono 180 mila abitanti di questo Comune - ricorda Marco Sitran del comitato Mestre e Venezia due grandi città -. La parola ai cittadini è l'aspetto più significativo della sentenza. E poi il fatto che il referendum è tappa fondamentale per rivendicare per Venezia uno Statuto speciale, con cui avere una leva fiscale, che possa attrarre le imprese di qualità, compatibili con il fragile ecosistema della città lagunare. Poi ci batteremo - dice - affinchè Venezia sia riconosciuta come sede per l'agenzia internazionale di tutela dell'ambiente. Il sindaco nel 2014 disse che non aveva senso una Città metropolitana eletta dagli eletti, perché sarebbe stato il classico carrozzone all'italiana - dice Sitran - ma questo sindaco, pur di non dividere, ha fatto uno statuto della Città metropolitana contra legem. Vinse al ballottaggio con la promessa di promuovere l'elezione diretta del sindaco metropolitano e il referendum di separazione, ma il risultato furono i sei ricorsi al Tar, che annacquarono uno dei principali temi di questo territorio». «Gli studi in materia di amministrazione dimostrano che non sono i grandi Comuni che funzionano, ma quelli che riescono a offrire servizi di qualità ai cittadini - afferma Bartolomeo Suppiej dell'associazione civica Venezia Serenissima -. Anche Mestre, da questo punto di vista, sarebbe già troppo grande. Sostenere che l'autonomia potrebbe creare problemi con servizi quali il porto, l'aeroporo o il Casinò, è dire il falso. Sono partite non gestite territorialmente». Dopo il dibattito M9 avrebbe precisato l'assenza di relazione tra il museo e l'iniziativa dei comitati e dei cittadini.

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