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Reyer campione, De Raffaele a cuore aperto: "La squadra ha vinto come gruppo, per me soddisfazione enorme"

Una lunga intervista del coach orogranata che parla della stagione vissuta e della vittoria del titolo al Taliercio

Walter De Raffaele a cuore aperto dopo la vittoria. Il lavoro, i sacrifici, le gioie più importanti del coach livornese, che ha firmato nel 2018 un contratto quinquennale con l’Umana Reyer (e che guiderà per la quinta stagione consecutiva la prima squadra) raccontate in una lunga intervista per il canale ufficiale della squadra orogranata. Di seguito alcuni stralci dell'intervista.

Il risultato più grande

«Il risultato più grande di questo successo viene da un lavoro profondo mio e di tutto lo staff che si traduceva nel dare un'identità al gruppo: la percezione è che ognuno cercava più la sua dimensione tecnico-mentale che non di tutta la squadra. Non è stato facile gestire tanti giocatori, con obbligo di rotazioni. Da parte di un giocatore dire "io sono parte del gruppo, anche se non gioco per me l'importante è il gruppo" era un bel segnale, ma bisognava crederci e non dirlo falsamente. Spesso c'era anche chi voleva primeggiare a livello personale: era importante far accettare a tutti che il percorso, la squadra, era più importante del singolo. Ma per fare questo occorreva un'identità precisa: questo è stato il mio lavoro più grande. Al termine del campionato ho visto come nei ragazzi c'era proprio la gioia negli occhi. Se il compagno giocava bene alla fine la squadra mi diceva di lasciarlo in campo. Questo è stato il risultato per me più grande come allenatore. E poi c'è stato il lavoro con il club che io identifico soprattutto in Federico perchè ha vissuto con noi tutti i giorni ma che in realtà riguarda tutta la società. Un lavoro che ha riguardato profondamente anche la condizione mentale. E' stato un lavoro duro: ogni giocatore aveva la propria psicologia, ognuno le proprie paranoie e ognuno voleva essere ricaricato e soddisfatto e tutto questo andava messo all'interno di un obiettivo finale».

Persona e allenatore

«Senza la mia famiglia quest'anno avrei fatto molta fatica. Come persona vivo tutto al 3mila per cento. Non mi scuso con me stesso quasi mai, non mi godo quasi mai niente. Lo so però quando sono a casa mia se ho perso io o quanto ha perso la squadra. La mia frustrazione quest'anno era nel non avere breccia nel gruppo, voler percepire un'armonia nell'ambiente. Come persona la mia frustrazione nasceva dalla paura di non riuscire a tirare fuori in ognuno dei giocatori quel senso di appartenenza e di gruppo coeso, come poi invece è stato. Una difficoltà sì ma una soddisfazione che non ha paragoni. Il risultato finale non mi preoccupava: mi preccupava che fossi la versione miglior di me stesso, per i miei figli e la mia famiglia e per la mia squadra. Nei giocatori più esperti ho avuto molto aiuto. La squadra ha sempre risposto comunque. Perchè siamo stati un gruppo coeso che con gioia condivideva un certo percorso, fatto di lavoro duro».

«Io c'ero»

Il coach chiude parlando di famiglia e del titolo al Taliercio: «Mi reputo una persona fortunata: per la mia famiglia soprattutto olter che nel lavoro. Con me ci sono state sempre tante persone che mi hanno voluto sempre bene. Federico, Luigi, tantissimi. E' stato bellissimo festeggiare con i tifosi, io poi nasco ultras quindi...L'importante è dire che io c'ero e questo nel nostro lavoro non succede spesso. Quindi come ho preso la coppa e me la sono tenuta stretta, mi tengo stretti tutti i ricordi».

Fonte: reyer.it

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