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Mestre

Morto il magistrato che dichiarò guerra alla Mala del Brenta

Francesco Saverio Pavone aveva 76 anni e soffriva di patologie pregresse. Era ricoverato in terapia intensiva all'ospedale dell'Angelo di Mestre

Sembrava che le sue condizioni stessero migliorando, ma il suo quadro clinico era comunque molto precario. È morto a 76 anni, a causa di problemi polmonari dovuti al coronavirus, Francesco Saverio Pavone, magistrato che ha legato gran parte della sua prestigiosa carriera alla lotta contro la Mala del Brenta. Si trovava da un paio di settimane ricoverato nel raparto di terapia intensiva all'ospedale dell'Angelo. È uno dei 4 pazienti morti quest'oggi: due a Jesolo, uno al Civile di Venezia e uno a Mestre.

Le sue inchieste

Pavone fu protagonista di numerose inchieste, da quella su Felice Maniero, che aveva progettato di assassinarlo, a quella che lo portò a sgominare la banda dei giostrai con i loro sequestri di persone, fino alle ultime indagini sulle ecomafie. Originario di Taranto, fu nominato procuratore aggiunto a Venezia e successivamente capo della procura a Belluno.

Il cordoglio per la morte

«A nome dell’Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza della Regione del Veneto - ha detto Bruno Pigozzo, vicepresidente del Consiglio regionale del Veneto - porgo le più sentite condoglianze ai familiari e l’autentico cordoglio di chi in lui ha visto un pilastro della lotta alle mafie». «Apprendo con forte dispiacere la scomparsa del procuratore Francesco Saverio Pavone. - ha commentato il sindaco di Mira Marco Dori - Gli dobbiamo tanto. Un uomo che ha dato la vita per lo Stato e per il bene del nostro territorio. Un magistrato preparatissimo, stimato da tutti e sempre determinato nell’impegno per la legalità e la giustizia. A nome mio personale e di tutta la città di Mira porgo le condoglianze ai suoi cari».

Una cara amica ed allieva di Pavone, la dottoressa Cristina Mazzarolo, lo ricorda così: «Francesco Saverio Pavone non è solo il magistrato alla guida di alcune delle più importanti indagini in Italia e in Veneto e che smantellò la Mala del Brenta, è anche l’uomo che ha lasciato a tutti noi una straordinaria eredità: la testimonianza di una vita dedicata alla ricerca della verità e della giustizia, uniti ad una grande capacità di comunicare e trasmettere passione civile oltre alla convinzione di poter migliorare la nostra società combattendo tutte le forme di criminalità. Un esempio che incoraggia tutti a sperare in un futuro migliore e a lottare per ottenerlo. Come scriveva il Giudice Rosario Livatino, "Il Giudice deve offrire di sé stesso l’immagine di una persona seria, equilibrata, responsabile; l’immagine di un uomo capace di condannare ma anche di capire; solo così egli potrà essere accettato dalla società: questo e solo questo è il giudice di ogni tempo. Se egli rimarrà sempre libero ed indipendente si mostrerà degno della sua funzione, se si manterrà integro ed imparziale non tradirà mai il suo mandato". Questa è l’immagine del dottor Pavone, da sempre in prima linea nella lotta contro la mafia, la corruzione e l’illegalità, con coerenza, integrità e sacrificio, chiarezza e linearità delle sue decisioni, moralità nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale. Capace sempre, pur nella sua autorevolezza, di ascoltare, rapportarsi e confrontarsi con le persone che hanno interagito con lui, trascendendo il suo ruolo istituzionale per calarsi in quello di uomo che si offre sempre per trovare una soluzione ai problemi in modo legale».

«Con l’Ordine dei medici di Venezia - prosegue Mazzarolo - in tante occasioni ha partecipato su tematiche di illegalità sempre nella tutela dei diritti della persona (violenza domestica, alle donne, ai minori) ed era stato coinvolto anche recentemente dal nostro Ordine sulla problematica della violenza al personale sanitario. Il suo contributo è stato sempre di grande valore, sia sotto il profilo professionale ma ancor più umano. La grande capacità di interagire e di creare coesione e condivisione, sopratutto con chi ci lavorava, era l’aspetto più forte e che dava a lui e a tutti noi la forza di andare avanti sempre. Una vita scortato, lui e l'intera famiglia. Pochi i momenti che dedicava a sé. La notte i militari che vigilavano la casa h24 vedevano la luce dello studio spegnersi dopo le 3 ogni notte».

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