Le chiese chiuse che non ci appartengono più, Crovato: «Venezia batte anche Napoli»
L'ex consigliere comunale: «Oltre una quarantina in laguna non sono più luoghi di culto, né spazi aperti al pubblico e ai residenti, e neppure agli storici dell’arte. Tesori sprecati. L’abbandono porta al degrado»
«San Bortolomio, San Tomà, Sant'Aponal, San Marziale, San Sebastiano, San Rocco, San Giovanni Novo, San Lorenzo, San Zan Degolà, Sant'Andrea della Zirada, Fava, San Lio, San Gregorio, Santa Maria della Misericordia, Santa Maria del Pianto, San Luca, San Fantin. San Samuele, San Beneto, San Stae, Penitenti, Maddalena, Capuccine, Sant'Eufemia, Santa Fosca, Gesuati, Sant'Antonin, Tolentini, San Girolamo, San Clemente». Ma l'elenco va oltre, secondo l'ex consigliere Fucsia Maurizio Crovato, e comprende altri nomi di chiese rimaste chiuse a Venezia.
«Al culto, al pubblico, ai residenti, agli storici dell’arte. Private o già rivolte ad altri usi». E a quelle menzionate Crovato aggiunge: «la chiesa "Ai Servi", ovvero Cappella dei Lucchesi, chiesa dei Riformati, delle Eremite, di Santa Caterina, le Terese, Santa Marta, del Soccorso, Santa Maria della Visitazione, dello Spirito Santo, dellee Zitelle, dei Catecumeni, di Sant'Anna che, dulcis in fundo, è del Comune». In tutto fanno una quarantina di chiese chiuse veneziane. «Nemmeno Napoli, che ha lo stesso problema di abbandono, ha un numero così elevato. Secondo lo storico di allora, Camillo Bassotto, con saggio scritto per l'azienda di soggiorno di Venezia, “Le chiese di Venezia”, nel 1975, in origine erano ben 154. Un vero record europeo. Francesi, austriaci Savoia, hanno pensato di trasformarle in caserme, oppure semplicemente di sopprimerle. Ora ci pensa il declino di una città ridotta a 50 mila abitanti e la crisi del clero, con parroci, frati e monaci ridotti al lumicino, a decimarle».
Anche i francescani, continua l'ex consigliere comunale, presenza millenaria nella città, hanno abbandonato San Francesco della Vigna e quanto alle opere, sono diversi Tiziano Vecellio, decine di Paolo Veronese, Tintoretto, Piazzetta, Palma il Giovane, Sebastiano Ricci a non poter essere ammirati. «Nemmeno la volonterosa Chorus, l’associazione per le chiese del Patriarcato di Venezia può fare granché. Già riescono con il volontariato a tenere aperte una decina di chiese. Che fare? Il problema è serio - afferma Crovato -. L’abbandono degli edifici religiosi porta al degrado e alla necessità di continui restauri e controlli. Da anni cerco di entrare, come vicino di casa, nella chiesa di San Tomà. Don Lino, il parroco dei Frari, mi riferisce che è data in concessione ai Catecumenali, che la usano saltuariamente per i riti notturni. Io come residente non riesco a poter ammirare la chiesa. È un bene pubblico. È solo uno dei tanti casi. Giorni fa ero assieme a una critica d’arte tedesca. Vediamo aperta la chiesa di Sant'Aponal: un caso, mai potuta ammirare. È la chiesa medievale dei “tagiapiera”, la chiesa dove è nata la Scuola di San Giovanni Evangelista. Nell‘Ottocento, smantellata, fu venduta ai privati, ora è archivio comunale. Un operaio albanese, peraltro gentilissimo, ci sbarra la strada. Non potete entrare. Stiamo facendo dei lavori, è pericoloso. Ma scusi, la possiamo ammirare almeno dalla porta? "No". Problemi di sicurezza». Sul caso Crovato ha fatto intervenire la professoressa Sara Marini, docente Iuav. «Dice che "è un tema difficile e che loro stessi hanno interessato decine di studenti. Un problema di riutilizzo, di usi sporadici, di conciliazione fra attività culturali ed espositive. L’uso doppio riguarda già San Vidal, San Maurizio, San Barnaba, San Lorenzo con la Biennale. Ci vuole un laboratorio complessivo di ricerca. Il problema delle chiese chiuse in realtà è nazionale"».
Nella chiesa di San Bortolomio l'ex consigliere Fucsia individua un Palma il Giovane e un Sebastiano del Piombo. «Nel ‘500 il frate Luca Pacioli, inventore della "partita doppia", ne fece un’aula universitaria. A pochi minuti, nella chiesa di San Fantin di fronte alla Fenice, c’è la cappella del Sansovino. Portone chiuso da anni. Mentre alle Fondamente Nove si scorge Santa Maria del Pianto, un disegno del Palladio. Appartiene all’Ulss Serenissima. Negli anni è stata anche deposito di barche. Chiusa. Nel 2001 il Comune voleva farne il luogo per i funerali laici. Polemiche e ri-chiusura. Poi c'è la chiesa di San Luca. Vorrei vedere la “Vergine in Gloria” di Paolo Veronese, oppure Palma il Giovane. Impossibile. A San Samuele c’è un crocifisso del Trecento opera di Paolo Veneziano. Niente da fare. Mi ricordo che il giovane abate Giacomo Casanova fece la sua prima e unica predica. A San Beneto c’è un altro Tiepolo: non si può vedere. A Santa Fosca, con canonica data in concessione a un bar, il portone è chiuso anche se appare la scritta: "Messa domenicale ore 11". A Sant'Antonin, a Castello, mi piacerebbe ammirare un Sebastiano Ricci, un Palma il Giovane, oppure Giuseppe Heinz. Sempre a Castello ho rinunciato da tempo a vedere San Giovanni Novo, il portone chiuso e in degrado dimostrano i segni del tempo. Poi scopro che la proprietà è comunale. Sempre a Castello, a San Lio, chiusa da poco, ci sarebbe un Tiziano (l’Apostolo Giacomo), un Tiepolo, un Mansueti e un organo del Callido. A proposito del Tiziano, a San Marziale, a Cannaregio, c’è l’Angelo Raffaele e Tobia, oltre al soffitto del Ricci e a Tintoretto, che abitava lì vicino. Botta finale nella chiesa di San Sebastiano, Dorsoduro, dove c’è il fondamentale ciclo pittorico di Paolo Veronese. Un signore gentile mi avverte che “ogni tanto è aperta”. Concludo la maratona alla Maddalena, chiesa esoterica in Strada Nuova. Secondo una leggenda fu trasportato di nascosto il corpo del massone Giacomo Casanova, morto a Duchcov, in Boemia. Caro Giacomo, come siamo ridotti».