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Giovedì, 28 Marzo 2024
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All’Angelo un intervento al mese di “Deep Brain Stimulation”: elettrodi nel cervello per controllare il Parkinson

In tutto il mondo più di 75mila pazienti hanno scelto di ricorrere a questa terapia per arrivare a neutralizzare gli effetti della malattia tra cui il tremore a riposo, le alterazioni del movimento, i disturbi dell’equilibrio

Parkinson: su un paziente al mese, debitamente selezionato, all’ospedale dell'Angelo si interviene con la “Stimolazione cerebrale profonda”, e le conseguenze debilitanti della malattia sono “controllate” grazie ad elettrodi collocati stabilmente nel cervello. La chirurgia di alto livello, così, è messa al servizio della cura del Parkinson, per arrivare a neutralizzare quegli effetti della malattia – tra cui il tremore a riposo, le alterazioni del movimento, i disturbi dell’equilibrio – che normalmente vengono tenuti sotto controllo per via farmacologica.

Intervento chirurgico invasivo

«Lo diciamo subito: la ‘Deep Brain Stimulation’ – spiega il Primario di Neurologia dell’Angelo, Rocco Quatrale – è un intervento chirurgico invasivo: prevede, infatti, l’apertura di due fori nel cranio, normalmente effettuata in anestesia locale, per giungere all’inserimento degli elettrodi in profondità nel cervello. Diciamo poi subito anche che questo intervento è appropriato per persone giovani e non portatrici di altre patologie, in cui però la malattia provochi fluttuazioni motorie e discinesie non più controllabili dal trattamento farmacologico: così, i soggetti che possono essere operati sono circa il 10% della popolazione affetta da Parkinson, così selezionata. Ma fatte queste premesse va evidenziato che la DBS dà risultati buoni e a volte ottimi, e che per questo in tutto il mondo più di 75.000 pazienti hanno scelto di ricorrere a questa terapia».

L'intervento

La “Deep Brain Stimulation” (in sigla DBS) consiste nell'impianto di elettrocateteri nelle aree del cervello deputate al controllo dei movimenti. Questi terminali producono impulsi perché collegati ad un dispositivo, simile a un pacemaker cardiaco, che viene collocato vicino alla clavicola o nella regione addominale: «Il funzionamento in sé è semplice: il neurostimolatore impiantato sottopelle – spiega il dottor Quatrale – invia degli impulsi agli elettrodi situati nelle aree cerebrali; e questi elettrodi così agiscono sul cervello bloccando i segnali che provocano i sintomi motori disabilitanti». Il trattamento di “Stimolazione cerebrale profonda” si svolge in due fasi chirurgiche separate: «La prima fase – spiega il dottor Franco Guida, Primario della Neurochirurgia dell’Angelo – consiste nell’impianto degli elettrodi nel cervello, con un intervento che dura da 5 a 7 ore, preceduto da una complessa mappatura che permette al chirurgo di far giungere gli elettrostimolatori là dove necessario, con precisione millimetrica. Nella seconda fase si procede ad impiantare lo stimolatore nel torace o nell’addome; questo secondo intervento viene effettuato in anestesia generale e dura circa un'ora». 

Tecnica complessa

Dopo gli interventi e trascorso il periodo di recupero post-operatorio, il neurologo programmerà il neurostimolatore per regolare gli impulsi elettrici che contribuiscono a controllare i sintomi della malattia. L’impatto positivo della DBS è evidente già nei primi giorni dopo l’avvio della stimolazione: questa, una volta in funzione, consente la riduzione della dose dei farmaci dopaminergici dal 50 all’80%; e il 15-20% di pazienti sottoposti a DBS non necessitano più di alcuna terapia farmacologica. L’ospedale dell’Angelo, dove i primi interventi risalgono al 2006, ora opera mediamente per la “Stimolazione cerebrale profonda” 12/14 interventi ogni anno: «Pratichiamo quindi ormai regolarmente nel nostro ospedale – sottolinea il Primario di Neurologia dell’Angelo – una tecnica di cura decisamente complessa anche dal punto di vista della sua pianificazione. La DBS prevede infatti la collaborazione di diverse figure specialistiche”: intervengono infatti nel processo i neurochirurghi che operano, e prima ancora gli anestesisti, che preparano il paziente all’intervento a cui si sottoporrà, ricordiamolo, da sveglio; ma prima, in fase di diagnosi, agiscono il neuropsicologo, con la sua valutazione, e il neuroradiologo che esegue gli esami strumentali; e infine dopo l’intervento viene coinvolto lo specialista della riabilitazione. «Al fianco del paziente, in ogni fase del percorso – conclude il dottor Quatrale – stiamo noi neurologi: lo accompagniamo dalla prima visita fino agli esami di follow up che, dopo l’intervento e dopo la fase riabilitativa, ne monitorano la condizione».

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