Cgia di Mestre: «Perché il Veneto vuole l'autonomia»
Il centro studi dell'associazione ha analizzato alcuni parametri, come residuo fiscale e gestione della sanità
Nel rapporto dare-avere tra lo Stato centrale e i territori, la gran parte delle regioni del nord Italia presenta un "residuo fiscale" negativo. Secondo l'ufficio studi della Cgia di Mestre, «questo costituisce una delle motivazioni alla base della richiesta di autonomia differenziata».
«Le Regioni del sud - continuano dalla Cgia - presentano invece un risultato positivo; essendo maggiormente in difficoltà economica rispetto al resto del Paese, i flussi finanziari che ricevono sono superiori alle risorse economiche che versano allo Stato centrale. La Campania, ad esempio, sempre nel 2019 ha registrato un saldo pro capite pari a +1.380 euro, la Puglia +2.440 euro, la Sicilia +2.989 euro e la Calabria +3.085 euro».
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Autonomia e sanità
Sebbene il Fondo sanitario nazionale destinato alle Regioni ammonti a poco meno di 130 miliardi di euro all’anno, da quasi 25 anni la sanità è gestita amministrativamente e finanziariamente da queste ultime. «Va altresì segnalato che le differenze regionali in termini di qualità e quantità dei servizi resi alla cittadinanza sono molto evidenti. Pertanto, la tesi che sostengono coloro che avversano la riforma approvata l’altro ieri dal Consiglio dei Ministri è la seguente: come è già avvenuto nella sanità, nei prossimi anni con la riforma sull’autonomia i divari territoriali tra Nord e Sud sono destinati ad aumentare».
Cgia ha cercato di interrogarsi su questa ipotesi, cercando di capire se sia o meno verosimile. «Non è per nulla facile dare una risposta certa, - spiegano - ma obiettivamente crediamo di no. Anzi, probabilmente avremmo un arretramento del servizio anche in quei territori nei quali oggi è elevato, condannando quelle centinaia e centinaia di migliaia di persone del sud che oggi risalgono la penisola per curarsi, a non disporre di nessuna altra alternativa. A nostro avviso, pertanto, il problema non sono solo le risorse, oggi sicuramente meno importanti di un tempo, ma, soprattutto, una incapacità e spesso una mala gestio altrettanto diffusa che, soprattutto nei decenni passati, hanno caratterizzato la politica sanitaria e non della classe dirigente meridionale».
Continuando la riflessione sull'ambito medico, gli studiosi della Cgia ritengono che la "regionalizzazione" della sanità abbia permesso di contrastare con più efficacia gli effetti della pandemia. «La prima ondata, quella più drammatica, ha colpito quasi esclusivamente le regioni del Nord che, come sappiamo, dispongono di un sistema sanitario con livelli di performance superiori al resto del Paese. Ebbene, nonostante gli errori commessi, l’impreparazione iniziale e le responsabilità emerse nelle prime settimane sia nelle strutture pubbliche che in quelle private, le aziende sanitarie del nord sono riuscite nel giro di qualche mese a mettere a punto delle procedure, dei protocolli e delle modalità di contrasto al Covid che sono state assunte come "best practice" persino all’estero, consentendo anche alle asl del Mezzogiorno di beneficiarne».