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Pausa cicca

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A cura di Alessandro Cecconato

Poesia, rap e Dargen D'Amico: intervista a Dutch Nazari

Partecipa a contest di poesia, è stato un mese in Palestina per un documentario sul rap in zona di guerra e Dargen D'Amico produrrà il suo prossimo album

Dutch Nazari, Duccio per mamma e papà, è un rapper padovano classe ’89: fa ingresso nel mondo del rap underground della città veneta a 15 anni (dove qualche anno dopo avrebbe mosso i suoi primi passi anche un giovanissimo Nitro, su e giù tra Vicenza e Padova) ed è in quel periodo che nasce Massima Tackenza con Bomber Citro, Buzz e Mekoslesh, crew tutta padovana da poco uscita con un nuovo album che porta il nome del gruppo, “Massima Tackenza” per l’appunto. Il lavoro da solista inizia invece più tardi, dopo una collaborazione con Buzz per il disco “10 kg in più” nel 2011 esce l’ep “Non l’avevo calcolato”. Una bella svolta arriva l’anno scorso, quando Dargen D’amico – dopo aver ascoltato “Speculation” – invita Dutch a firmare con la propria etichetta discografica, la Giada Mesi, che qualche mese più tardi produrrà l’ultima fatica del rapper padovano, l’ep “Diecimila lire”. Qui i brani proposti sono sei, pezzi pensati, con beats accurati e tanta attenzione alla lirica: spiccano “Genio dentro” con il featuring di Dargen D’Amico, “Falling crumbs” con Willy Peyote ma anche "Jenin", che a qualche esperto di geografia evocherà il nome della città cisgiordana. In effetti è proprio lì che il rapper è stato per oltre un mese, entro un progetto di ricerca culturale che ha portato alla nascita di un brano che in poco più di quattro minuti riesce a descrivere l’atmosfera e i sapori di un territorio in perenne conflitto. Più che spezzarsi tra i confini di poesia e rap Dutch Nazari li sfuma, come a unire rosso e blu per il viola di un tramonto palestinese.

Ultimamente tu e la crew avete girato parecchio, come sta andando “Massima Tackenza”?

La cosa bella è che oltre ad essere un gruppo di musicisti siamo soprattutto un gruppo di amici, così qualche tempo fa ci siamo trovati e abbiamo deciso di darci a un’ultima avventura insieme prima che i percorsi musicali dei singoli si allontanassero troppo tra loro. L’album che ne è uscito a noi piace molto, è stato pensato con lo scopo preciso di crearci una solida base di pubblico a Padova e infatti molte delle canzoni parlano della nostra città. Qui è stato entusiasmante trovare un buon gruppo di ragazzi che veniva ai nostri live sapendo a memoria le canzoni, ed anche le date di Torino e Schio sono andate piuttosto bene tanto che stiamo accarezzando l’idea di mantenere vivo il progetto Massima Tackenza, almeno a me farebbe molto piacere.

Insomma ne risulterebbe un doppio percorso come parte di una crew e contemporaneamente come solista, non è troppo impegnativo?

In realtà per niente, anzi ho notato che il doppio impegno mi fa bene a livello artistico. Questo nel senso che se nei miei progetti da solista sono molto attento al testo, curo la linea narrativa per far passare al meglio un messaggio, un concetto di cui mi propongo di parlare sin dall’inizio, nel progetto di crew posso divertirmi molto con il rap, penso ad incastri particolari, gioco col flow insomma è anche un’ottima valvola di sfogo.

Torniamo un po’ alle origini del progetto solista: poetry slam, Alessandro Burbank, Sick et Simpliciter, insomma quella volta come è andata?

Alessandro Burbank è un poeta, oltre che un amico, ed è stato lui a farmi scoprire il poetry slam: in sintesi una gara di poesia in cui i partecipanti leggono le proprie poesie cui una giuria scelta tra il pubblico assegna un voto. Ci sono andato una volta con Bomber Citro giusto per vedere di cosa si trattasse, senza nessuna intenzione di partecipare. Mi dicevo sono un rapper, cazzo c’entro? Al che Citro si è iscritto ed io a ruota, fatalità ho vinto la gara. In quell’occasione ho dovuto ricredermi sulla separazione netta che pensavo ci fosse tra rap e poesia. In questo senso è iniziata marcatamente la mia carriera da solita, proprio a partire dall’intenzione sviluppata allora di unire i due generi artistici. A chiudere il cerchio è stata la collaborazione con Luca Patarnello (in arte Sick et Simpliciter) che già aveva curato le strumentali di "Motel Filò” ed ora quelle di “Diecimila lire”.

A proposito di quest’ultimo ep, i pezzi sono sei e in tutti si percepisce l’impegno profuso, sono brani con concepts pensati che spesso vale la pena riascoltare. L’altra faccia di questa medaglia è la mancanza di una hit vera e propria, è stata una scelta precisa?

E’ vero, in un certo senso manca la hit, il “tormentone”. In realtà quando ho scritto il pezzo “Diecimila lire” pensavo fosse quella con il tiro maggiormente radiofonico, poi, parlando con l’etichetta, “Monetina” e “Falling crumbs” sono sembrate più indicate per quel fine e infatti è stato girato il video per entrambe. Poi c’è da dire che da un lato per creare una hit devi avere un certo tipo di seguito, da un altro è anche una cosa un po’ imprevedibile. Comunque io sono per il fare pezzi, non necessariamente per il fare hit. Poi vedi è l’eterna sfida tra il “cambio io perché mi ascoltino o cerco di farmi seguire per quel che faccio?” Se dovessi fare un pezzo solo per il fine di allargare la mia fetta di pubblico credo sarebbe fallimentare, bisogna fare la propria musica secondo me. Se suoni qualcosa solo per piacere alla fine sono sicuro che floppi e fai un pezzo di merda. Io mi dedico a quello che mi piace e ovviamente spero mi seguano. Ho visto che in questo modo sono riuscito ad ottenere un certo apprezzamento dal pubblico ma soprattutto quello degli addetti ai lavori. Ovviamente io stesso sono in fase di evoluzione dal punto di vista artistico, ad esempio mi sto muovendo verso qualcosa che mi porti a un rap più cantato ma in effetti non sono convinto di avere nelle mie corde il classico brano hit. Comunque con la Giada Mesi stiamo lavorando a un nuovo album e chissà che da lì non esca qualcosa di diverso in questo senso.

Un mese in Palestina per un progetto culturale: raccontaci.

Io e Burbank abbiamo scritto un progetto per un bando indetto dalla Provincia di Trento. Il progetto, su cui per altro abbiamo avuto la collaborazione dell’associazione trentina “Maia Onlus”, ha vinto e così abbiamo ottenuto il finanziamento per questa collaborazione culturale con la Palestina. L’obiettivo era osservare la società palestinese dal punto di vista della musica rap e vedere come questo mezzo di comunicazione (unito alla poesia) fosse vissuto da un popolo che da decenni vive in stato di guerra. Lì la poesia è parte fondamentale dell’identità nazionale e da questo punto di vista i palestinesi hanno un’alta considerazione di sé e della loro produzione artistica. Dall’esperienza è nato un documentario, ma anche un bel progetto di sito on line, ora in fase embrionale ma che stiamo sviluppando. In sostanza si pensa a una mappatura geo-poetica della Palestina: l’idea è quella di una sorta di cartina geografica in cui cliccando sulle varie città venga fuori una lista di rappers e poeti di quella specifica zona. La premessa ideologica consiste nel far valere la propria appartenenza territoriale attraverso la cultura: ci sono poesie di autori palestinesi che parlando dell’occupazione inglese avvenuta tra le due guerre mondiali, quindi ben prima della nascita dello stato d’Israele. Riportare in auge la produzione poetica palestinese per loro è come urlare “noi ci siamo!” per una volta ricorrendo ai versi anziché alle armi.

Alessandro Cecconato

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