Due chiacchiere con Nitro Wilson: intervista all'uomo nero del rap italiano -PAUSACICCA
Se un’immagine vale più di mille parole, la copertina di Suicidol (Nitro, Machete Empire Records, 14 euro, 2015) basta per dirle tutte, e ancora c’è da ascoltare i pezzi, fate voi.
Nella foto il cantante sta seduto, coperto da rime scritte, che urla a metà tra la paura e la rabbia. Sullo sfondo un muro inciso a insulti. Senza dubbio Nitro non è il primo rapper che si dia all’auto denigrazione (viene in mente Eminem e il suo 8Mile: “I’m a piece of fuckin white trash i say it proudly/ Fuck this battle I don’t wanna win I’m outty/ here, tell these people something they dont know about me”) ma proporre una sorta di no-egotrip lungo un intero album non è cosa da tutti, e il risultato è riuscito nel migliore dei modi.
Suicidol è un album pensato e ragionato, i featurings sono pochi e scelti con accuratezza: spicca su tutti quello con Fabri Fibra in Ong Bak, che dopo la collaborazione a “Dexter” (track di “Squallor” cui ha partecipato anche Salmo) va a evidenziare ulteriormente l’affinità artistica ed il legame tra i due rapper (“Nitro insieme a Fibra suona strano / se qualcosa sta cambiando era già parte del piano”). Si aggiungono poi “Twinbeats” (ft. Devotion, Skits Vicious e Andrè), “Dead Body”, “Stronzo” (entrambe con dj. MS) e Pleasantville (con la cantante statunitense Lissie). Grazie a queste collaborazioni l’artista vicentino riesce ad esplorare più generi musicali – i Devotion offrono una base nu-metal che fa di “Twinbeats” un pezzo davvero notevole – e se poi si considera il numero tutt’altro che ridotto di beatmakers ecco spiegata la grande varietà artistica che è caratteristica chiave, e molto apprezzabile, del disco.
Quanto ai concepts trattati il tema centrale del disco e senz’altro la morte (artistica, spirituale, fisica), ma si parla anche di amore, fortuna, successo (“Storia di un defunto artista” racconta la nuova vita del “presunto” di “Danger”) e non mancano le risposte a critici e detrattori perché auto-insulto a parte Nitro mostra di tenere al posto conquistato e al percorso intrapreso: “qui dicono che sono un montato e pure un coglione/ quando sono sempre stato un complessato in depressione/ che odia ogni sua canzone la prossima anche peggiore/ perché il frutto del malessere è il malessere peggiore/ se non hai niente da perdere puoi perdere la ragione/ lì non conta più il malessere ma l’essere il migliore giusto?/ esser il migliore giusto? E’ autoconvinzione giusto? / Allora sarò il migliore, punto.”
Sì, i temi sono sempre quelli, ma il rischio della banalità viene ucciso barra su barra dalle riflessioni di un artista che è già arrivato, ma che – fortunatamente – sembra non essersene ancora accorto: Nitro si tiene il vantaggio di parlare lo stesso linguaggio del suo pubblico.
Da Danger a Suicidol è cambiato tanto, come spiegheresti il passaggio tra i due album?
Il passaggio è stato una cosa naturale, in questo disco ho detto delle cose che al tempo di Danger non potevo dire, nel primo disco devi far vedere che ci sei, che ci sai fare, non puoi esporti più di tanto: Danger è stato questo, far vedere che ci sapevo fare e che sapevo rappare. In Suicidol invece mi sono concentrato sulle tematiche, sullo scavare nella mia intimità artistica: è inutile che urli quando non hai i fari puntati addosso, ma appena succede puoi parlare anche sottovoce e tutti ti ascoltano, questo è stato il passaggio.
Lungo questa crescita hai conosciuto diversi rapper, tra i tanti sembri molto legato a Salmo e a Fibra, come descriveresti il rapporto con loro?
A livello artistico sono dei punti di riferimento, degli esempi. Umanamente parlando invece loro hanno vissuto cose che io devo ancora vivere e mi aiutano a prendere al meglio quel che succede. Quando ho qualche problema a livello artistico chiamo loro due, che ci sono sempre. Al di là di quello che il pubblico può pensare di capire di un artista attraverso i social, loro sono senza dubbio persone disponibili e tra l’altro anche molto simili a me in termini di paranoie diciamo.
Insomma l’album è uscito, ti si vedrà in tour?
Si a giugno parte il summer tour: ci saranno soprattutto pezzi di Danger, featurings e diciamo solo un terzo di Suicidol. Invece da settembre-ottobre quando la gente avrà digerito il disco, l’avrà ascoltato per bene proporrò Suicidol per intero.
Nei live continuerai sulla strada del MC con dj o hai pensato a qualcosa di più articolato?
Facciamo che questa resta una sorpresa.
Ultima domanda, parliamo un po’ di rap in generale: in Suicidol citi più volte Eminem e con te anche tanti altri rapper italiani di tutte le generazioni hanno detto di essere stati catapultati nel genere da un rapper americano. Come vedi il rap italiano in questo momento rispetto a quello americano, si colmerà mai il gap?
Il rap italiano si sta muovendo sulla strada giusta. So che sto dicendo qualcosa che forse non va bene ma in America c’è tanta roba figa come c’è tanta merda, non per forza hanno un livello di rap superiore al nostro, non sempre. Ovviamente poi ci sono rapper come Eminem e Tech N9ne, giusto per fare un esempio.
Quindi “l’inarrivabile” esiste?
No no nulla è inarrivabile, ci vorrà indubbiamente del tempo. Adesso l’Italia sta ingranando un bel po’, producendo cd con suoni e flow americani e secondo me è un buon segno e un bel traguardo. Quello che dico è non cerchiamo di essere sempre esterofili, c’è tanto di buono anche qua, rap figo per davvero. E lo confermano anche artisti stranieri, i Foreign Beggars quando abbiamo suonato a Marghera sono venuti a farmi i complimenti dopo il live – cosa che io non mi aspettavo minimamente – dicendomi “In Italia uno che rappa così all’americana non l’abbiamo mai sentito”. Oppure i Dope D.O.D e altri ragazzi che conosciamo so che comprano i nostri dischi, se li ascoltano e anche se non capiscono le parole capiscono il flow. Che poi è quello che facevamo noi da ragazzini ci ascoltavamo il rap americano senza capire nulla di inglese ma ci prendeva bene. Insomma quello che dico io è ok non saremo ancora a livello degli album americani ma ci stiamo lavorano, metti mai che prima poi li prendiamo.”