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A cura di Gianluca Anoè

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La peste a Venezia

Da www.vogavenetamestre.it

La peste è una malattia infettiva di origine batterica causata dal batterio Yersinia pestis. È una malattia quarantenaria e per il Regolamento Sanitario Internazionale è assoggettata a denuncia internazionale all'OMS, sia per i casi accertati che per quelli sospetti. Quello della peste è stato uno dei flagelli più temuti e catastrofici che hanno per millenni colpito l'umanità in ogni angolo del mondo. Spesso le epidemie hanno avuto dimensioni tali da stravolgere l'assetto sociale ed economico di intere aree geografiche.

La peste 

In generale, va rilevato che solo nel XIX secolo si è arrivati a significative scoperte in campo medico e scientifico che hanno permesso di comprendere l'origine e le modalità di diffusione del morbo. Fino ad allora si era quasi sempre perpetuato ovunque l'equivoco di considerare l'aria come l'elemento di principale diffusione della peste. Pertanto tutte le misure di profilassi e di difesa dalla malattia si concentravano su tale elemento, trascurando invece altri fattori decisivi, come l'igiene nelle case e nelle strade e la qualità dell'acqua. Specie nelle città la scarsa attenzione alla pulizia dell'acqua e all'igiene personale, la circolazione spesso a cielo aperto degli scarichi, che andavano a confondersi con acque utilizzate per gli usi domestici, e favorivano la diffusione di ratti e di parassiti, era un pericoloso e rapido canale di diffusione della malattia. Alcuni testi egizi del secondo millennio a.C. descrivono alcune gravi epidemie di quella che convenzionalmente viene chiamata peste, così come ne parlano gli Ittiti, della Mesopotamia(l'attuale Iraq). Anche nella Bibbia si parla di pestilenze ed epidemie, a testimonianza della frequenza di questi eventi. Nel Primo libro di Samuele si racconta di come Dio abbia inviato una pestilenza ai Filistei, colpevoli di aver rubato l'Arca dell'Alleanza ebraica. Alcuni studiosi dicono si tratti di peste bubbonica e datano l'evento al 1030 a.C. o, secondo altre fonti, al 1076 a.C. In realtà, come tutte le pestilenze storiche prima del XIX secolo è stata messa in dubbio la coincidenza tra queste pestilenze e la peste "Yersinia pestis", potrebbe in effetti trattarsi di qualsiasi epidemia estremamente contagiosa e con tassi di mortalità elevate, come tifo o febbri emorragiche. Esistono due forme principali di peste: la differenza la si può determinare analizzando l'interno dei bubboni infetti o attraverso un'emocoltura.

Peste bubbonica

La trasmissione nell'uomo può avvenire attraverso la puntura delle pulci dei ratti (Xenopsylla cheopis), o tramite il morso dei ratti stessi o di altri roditori. La pulce dell'uomo ed i pidocchi, in forma minore, permettono di trasmettere la peste bubbonica anche da uomo ad uomo. Insorge violentemente dopo un periodo di incubazione da 2 a 12 giorni. Si presenta con febbre alta, cefalea, grave debolezza, disturbi del sonno, nausea, fotosensibilità, dolore alle estremità, vomito e delirio. Si formano pustole nelle zone punte dalla pulce infetta; i linfonodi delle zone colpite (generalmente la zona inguinale e quella ascellare) si infiammano, gonfiandosi fino a formare uno o più bubboni. Possibile formazione di petecchie. Nei casi gravi l'infezione si propaga nell'organismo, provocando insufficienza cardiocircolatoria, complicazioni renali o emorragie interne. Tali sintomi possono facilmente portare alla morte. Alternativamente, nei casi meno gravi, la febbre cessa dopo circa due settimane e i bubboni espellono pus sgonfiandosi e formando una cicatrice.

Peste polmonare

Forma decisamente più grave rispetto alla precedente in quanto attacca i polmoni, può presentarsi anche come complicanza della forma bubbonica. Il periodo di incubazione va da 1 a 7 giorni e presenta un notevole abbassamento della temperatura corporea, dispnea (difficoltà respiratorie), tosse, cianosi (colorazione bluastra della pelle e delle mucose, sintomo di disturbi circolatori o respiratori) e grave debolezza. Caratterizzante è l'insorgenza di gravi disturbi neurologici. Se non viene curata in tempo, porta quasi sicuramente alla morte per edema polmonare acuto. La peste polmonare è trasmissibile anche senza l'azione di pulci, per via aerea: attraverso, cioè, tosse e starnuti di persone infette, portatori in grado di contagiare il loro prossimo ospite. Quella che oggi è considerata una delle più tipiche maschere veneziane è in realtà una “tenuta” medica ideata durante la pestilenza del 1577 e largamente impiegata durante l’epidemia del 1630, che decimò un terzo della popolazione di Venezia. L’equipaggiamento constava di lunghi guanti, occhiali protettivi, stivaloni, una tunica cerata ed una bacchetta usata per sollevare le coperte e gli abiti del malato. La maschera conteneva un “filtro” di garza imbevuto di olii essenziali sulla bocca e conservava nel lungo becco erbe come rosmarino, aglio e ginepro, considerate efficaci nel tener lontano il morbo e alleviare il fetore che di solito regnava in casa di un appestato.

Una metropoli moderna

La Venezia del 17° secolo è una città con grande esperienza di carestie e calamità, vanta inoltre uno dei governi più “moderni” ed illuminati d’Europa, all’avanguardia anche nelle norme igienico- sanitarie. La Repubblica nomina tempestivamente delegati per controllare la pulizia delle case, vietare la vendita di alimentari pericolosi, chiudere i luoghi pubblici, perfino le chiese. Viene imposto il coprifuoco, solo i militari e i medici sono autorizzati a circolare. Questi ultimi, insieme al personale sanitario e ai detenuti impiegati come portantini, indossano segni distintivi, tra cui le maschere a becco di avvoltoio.. che conferiscono un aspetto tetro e spaventoso. I pazienti chiaramente contagiati vengono portati nel lazzareto Vecchio, già utilizzato a tale scopo alla fine del ‘500, mentre chi è stato solo a contatto con gli appestati viene trattenuto 20 giorni a scopo cautelativo in una struttura appositamente allestita. E’ la prima volta che si assiste ad un tentativo di pre-diagnosi e profilassi della malattia. Le ordinanze igieniche e alimentari erano così rigorose e restrittive che su una nave era stata issata una forca per giustiziare i trasgressori. Nonostante il rigore delle ordinanze, l’efficienza delle strutture e la modernità dell’organizzazione dell’apparato sanitario, la peste annienta dodicimila persone in solo sette mesi, 559 in un solo giorno, il 9 novembre, come annota il medico-cronista Zen. Nessuno voleva più seppellire i cadaveri, che rimanevano ammonticchiati fuori dalle case o peggio gettati dalle finestre direttamente nei canali o nelle imbarcazioni. Solo un grido riecheggia nella città deserta: “ Chi gà morti in casa li buta zoso in barca”. Sulle strade cominciava a crescere l’erba, calcate solo da qualche ciarlatano che cercava di vendere inutili antidoti o da qualche frate invasato che, farneticando a gran voce, indicava come causa del morbo l’ira divina contro la liberalità e il vizio di casa a Venezia.

Una chiesa per la salvezza

In questa situazione disperata, il doge Niccolò Contarini decretò che l’unica speranza per Venezia era sperare in una riconciliazione con la divinità, promise di edificare una chiesa “magnifica e con pompa” alla Madonna della Salute e di organizzare una sontuosa processione ogni 21 novembre, giorno della presentazione di Maria al tempio. Dopo queste dichiarazioni la peste miracolosamente si affievolì, ma ebbe una recrudescenza all’inizio del 1631. Solo in autunno dello stesso anno fu debellata del tutto. Nel frattempo Contarini era morto e il nuovo doge, Francesco Erizzo, volle subito mantenere il voto. Il bilancio finale della pestilenza fu stimato in quasi 47.000 morti nel solo territorio cittadino (oltre un quarto della popolazione) e quasi 100.000 nel territorio del Dogado. Il governo decretò allora di ripetere ogni anno, in segno di ringraziamento, la processione in onore della Madonna denominata da allora della "Salute". Il governo della Repubblica mantenne fede al voto, individuando nell'area della Dogana da Mar, oggetto di recenti demolizioni, la meta del pellegrinaggio nonché la sede del nuovo tempio votivo e indicendo subito il concorso per la costruzione della nuova chiesa. Il primo pellegrinaggio di ringraziamento avvenne il 28 novembre 1631, subito dopo la fine dell'epidemia. Il concorso venne vinto da Baldassare Longhena con il suo progetto di un tempio barocco a struttura ottagonale sormontato da un'imponente cupola, ovvero l'attuale basilica di Santa Maria della Salute, che fu consacrata il 21 novembre 1687. La ricorrenza è particolarmente sentita dalla popolazione veneziana. È tradizione, nel giorno della festa della Salute, consumare una pietanza a base di carne, la cosiddetta "castradina". Il Lazzaretto Nuovo di Venezia, vicino all'isola di Sant'Erasmo nella laguna di Venezia, deve il suo nome "nuovo" per distinguerlo da quello preesistente, che per questo è chiamato "vecchio", sorto nel 1423 sotto il dogado di Francesco Foscari su un'altra isola della laguna vicino al Lido, dove esisteva dal X secolo una chiesa, dal 1429 retta dagli Eremitani Agostiniani che vi tenevano un ospizio per aiutare i pellegrini più poveri e bisognosi di Terra Santa. Nel corso del XV secolo quest'isola diventò ricovero per la gente colpita da malattie contagiose. La chiesa, che dava la denominazione anche all'isola, era dedicata a Santa Maria di Nazareth: per la deformazione della parola Nazareth ("nazaretum") si cominciò a chiamarla semplicemente "lazaretum" e fu il primo lazzaretto della Repubblica di Venezia. Così il nome "lazzaretto" si diffuse ad indicare ovunque tutti gli ospedali per le malattie infettive. Ben presto fu sentita la necessità di dare una soluzione al problema di separare i sopravvissuti al contagio da chi invece era ancora affetto dalla patologia. Nel 1456 si cominciò a discutere nel Senato della Repubblica di utilizzare una seconda isola per «...illi qui liberantur a morbo di Nazareth...» in modo che potessero trascorrere un periodo di contumacia (come veniva chiamata la quarantena) «...habeant reductum purificatorem...» prima di rientrare nella vita sociale. Dopo non poche proposte ed incertezze (che durarono ben dodici anni!) nel 1468 venne fatto erigere il Lazzaretto Nuovo, nell'isola chiamata "della Vigna Murata" di proprietà dei frati di S. Giorgio, inizialmente per la quarantena dei guariti di peste. Durante la pestilenza degli anni 1575-77 il Lazzaretto Nuovo visse probabilmente uno dei momenti più drammatici nella storia della Repubblica: dal 1° luglio 1575 al 28 febbraio 1577, su una popolazione di circa 180 mila persone che abitavano a Venezia, si registrarono 46.721 morti di peste. Francesco Sansovino, che venne ricoverato in contumacia (quarantena) per 22 giorni al lazzaretto in quanto aveva avuto in famiglia due casi di appestati, la moglie Benedetta e la figlia Anna di 11 anni che ne era morta, ci lasciò un racconto reale della drammatica situazione che si viveva ("Venetia città nobilissima et singolare con le aggiunte di G. Martinoni", Venezia 1663). 

Come funzionava

Al Lazzaretto Nuovo venivano inviate le persone sospette e se il contagio veniva accertato erano trasferite al Lazzaretto Vecchio; al Lazzaretto Nuovo giungevano da quello vecchio anche le persone guarite dalla malattia. Per tentare di purificare l'aria dal morbo si accendevano fuochi di legno di ginepro che veniva fatto arrivare appositamente dall'Istria e dalla Dalmazia. Sull'isola non potevano trovare posto tutte le persone che ogni giorno arrivavano a migliaia. Così il Senato della Repubblica autorizzò che le persone sospette o ammalate venissero ammassate su barconi ancorati nei pressi delle due isole (il Lazzaretto Nuovo e quello Vecchio). Vennero così approntate due o tremila barche di ogni tipo cariche all'inverosimile di contumaci. Sansovino descrive questa sorta di girone infernale come «...un'armata che assedi una città di mare...». Il Lazzaretto Nuovo mantenne la sua funzione fino al XVIII secolo. L'isola venne poi espropriata in periodo napoleonico, indemaniata e quindi adibita nel tempo a funzioni militari: deposito, caserma e polveriera. Dopo il periodo austriaco (durante il quale era stato trasformato in "piazzaforte militare"), restò presidio militare con il Regno d'Italia fino alla Repubblica, quando l'isola venne dismessa dall'esercito italiano nel 1975.

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