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Scacco al boss: rapine armate per finanziare il clan mafioso, 4 arresti

L'operazione "Due Sicilie" è scattata giovedì. Grazie alle rivelazioni di Vito Galatolo sono stati ricostruiti diversi colpi. Fulcro a Mestre

Rapine per finanziare le altre attività del suo gruppo, al di qua e al di là del canale di Messina. L'operazione "Due Sicilie" dei carabinieri del Ros di Padova, con l'aiuto anche dei militari del Comando provinciale di Venezia, giovedì mattina è arrivata a una fase cruciale. Sono scattate infatti una serie di perquisizioni e di ordinanze di custodia cautelare emesse al giudice per le indagini preliminari Andrea Comez soprattutto a Mestre, sulla base delle rivelazioni di Vito Galatolo, il boss mafioso arrestato il 23 giugno 2014 nel suo appartamento di via Pio X in pieno centro a Mestre, su ordinanza della DDA di Palermo. Si tratta del figlio del capo mandamento Vincenzo Galatolo, all'ergastolo per l'omicidio del generale Dalla Chiesa. La posizione di "U Picciriddu" è stata annullata, visto il suo status di collaboratore di giustizia. Lo stesso non si può dire per gli altri tre destinatari di custodia cautelare: A.S., 29enne già in carcere a Palermo, dove risiede, M.C., 40enne residente in corso del Popolo a Mestre (già detenuto a Santa Maria Maggiore e di origini palermitane) e G.B., 33enne finito agli arresti domiciliari in via Parolari a Mestre. Obbligo di firma per V.D., 44enne palermitano residente in via Verdi a Mestre, ma di fatto domiciliato in via Servi di Maria. Dieci gli indagati (tra cui Galatolo e i quattro destinatari di ordinanza di custodia cautelare), in gran parte di origini siciliane e residenti tra Mestre e Spinea. Il gip ha comunque cancellato la contestazione di associazione a delinquere, mettendo nel mirino due assalti armati tra Veneziano e Trevigiano.

E' stato proprio Vito Galatolo a contribuire a scoperchiare il calderone, facendo luce sulle attività della propria famiglia, detta dell'Acquasanta. Nell'autunno scorso ha deciso di collaborare con la magistratura, la quale è convinta che nonostante si trovasse in laguna come "sorvegliato speciale", "U Picciriddu" continuasse comunque a tenere le redini del clan. Davanti ai magistrati siciliani raccontò anche della pianificazione dell'omicidio del pm Nino Di Matteo, dichiarando che era già stato reperito l'esplosivo per portare a termine l'attentato. Vito, dunque, dopo l'arresto del padre, sarebbe diventato il boss, il quale per finanziare le proprie attività aveva bisogno di soldi. Di tanti soldi, che però per il vizio del gioco a un certo punto sono mancati all'appello. Per questo sono state pianificate due tentate rapine non andate a buon fine nel giro di 24 ore, tra il 15 e 16 giugno 2014. Alle quattro persone finite in manette (per Galatolo però tutto è stato cancellato in quanto collaboratore di giustizia) viene contestato proprio il reato di rapina aggravata in concorso. M.C., G.B e A.S. erano i "picciotti", di origini palermitane e da tempo al Nord, che Galatolo era riuscito a raccogliere attorno a sé. Erano loro i "capi" nel momento in assenza di Galatolo. Altre sei le persone raggiunte da avviso di garanzia, cui il gip ha deciso di non procedere con l'arresto.

Le indagini hanno permesso di svelare, l’estate scorsa, tutte le fasi di una rapina tentata nei confronti di un’agenzia scommesse di Mestre (la "Aladin Bet 2") e di quella effettuata il giorno seguente, 16 giugno, alla concessionaria Tupperware di Ponzano Veneto, nel Trevigiano. In quest’ultima circostanza sono stati arrestati a Mestre tutti i responsabili dell’assalto (DETTAGLI) e di fatto il gruppo organizzato è stato disarticolato (grazie anche all'intervento dell'elicottero dei carabinieri che dall'alto ha braccato i fuggitivi) . La banda stava progettando altri colpi: nei confronti di un'oreficeria di via Torre Belfredo e di un bar mestrino. Tutti colpi che dalle intercettazioni erano stati solo evocati dai componenti del sodalizio. Ma la parabola del gruppo criminale era ormai arrivata al capolinea. Naturalmente, anche sulla base delle perquisizioni di giovedì mattina, le indagini continuano, con l'obiettivo di ricostruire quali fossero i legami di Galatolo con l'ambiente del Tronchetto, dove lavorava fino a quando la guardia di finanza l'anno scorso non ha suonato il suo campanello per arrestarlo.

La banda il 15 giugno scorso, mentre Galatolo era rimasto nel suo appartamento per una "serata conviviale" in modo da poter contare su un alibi di ferro, fu costretta a subire una serie di defezioni dell'ultimo minuto. Gli inquirenti tramite una cimice nella Mercedes Classe A di M.C. seguono passo passo gli eventi: alla fine saranno in tre ad assaltare la sala slot con cui Galatolo aveva contratto un debito di 57mila euro (dopo che alcuni indagati si sono tirati indietro in extremis), mentre circa la metà doveva restituirne in un'altra sala mestrina. A un certo punto, però, i criminali armati di coltello e pistola si trovano le porte sbarrate: erano convinti di poter contare sulla connivenza di una dipendente (dove essere semplice come gustarsi "un lecca lecca" commentavano), che invece assieme alla titolare chiude gli accessi dopo che la responsabile si era insospettita per la presenza di uno scooter nelle vicinanze. "... e minchia, lei chiudela porta... e mi vede pure! E se ne va dentro, nell'ufficio... Arrivo là davanti, e lei la porta me la chiude. Ed era là davanti che stava fumando!... niente, si è comportata di merda", dichiarano M.C e A.S, lasciati letteralmente "alla porta".

Il giorno seguente, poi, sono scattate le manette in flagrante: cinque componenti della banda vennero arrestati dopo aver assaltato a mano armata (e il volto travisato da un passamontagna) la sede del concessionario Tupperware di Ponzano Veneto, nel Trevigiano. Una delle titolari venne aggredita puntandole la pistola alla testa, dopodiché a fuga con i soldi, poco meno di ventimila euro. Vennero bloccati dai carabinieri C.S., A.S., M.P., S.G. e G.S. Quattro di loro sono di origini siciliane, il quinto, invece, un campano, era l'unico incensurato del sodalizio.


L'assalto dei banditi all'azienda di via delle Industrie è stato perpetrato mentre si svolgeva un incontro tra venditori, alcuni rimasti sotto shock e soccorsi dal personale del 118. I rapinatori, con il volto travisato da passamontagna, hanno fatto irruzione al piano terra dell'edificio. All'ingresso hanno sorpreso la contabile, 41 anni, una delle venditrici dell'azienda, 29 anni, e un'impiegata, 33 anni, che si dedicava a sistemare in ufficio i contanti incassati dalla 29enne durante la giornata di lavoro. I quattro banditi, con i volti coperti da passamontagna, hanno estratto un revolver Smith & Wesson e l'hanno puntato dritto contro la 33enne, trascinandola in ufficio e obbligandola a consegnare loro l'incasso. Pochi istanti prima, però, il marito di una dipendente, che si trovava al piano superiore dove si stava tenendo il consueto meeting settimanale, insospettito delle urla si è precipitato a vedere cosa stesse accadendo. Ha tentato di resistere alla rapina ma è stato colpito da un malvivente alla testa con il calcio della pistola, procurandosi ferite guaribili in 15 giorni. L'uomo, un dipendente dell'ospedale di Treviso, 49 anni, è finito a terra. I rapinatori hanno così potuto prelevare l'incasso e fuggire con il bottino di circa 20mila euro in contanti.

Dopo il colpo la banda è fuggita a bordo di una Fiat Panda rubata il 5 aprile a Casale sul Sile e trovata poco dopo all'interno del parcheggio del cimitero di Villorba. All'interno sono stati rinvenuti diversi arnesi da scasso, tronchesi, passamontagna e berretti. Il veicolo, inoltre, era sporco di fango, il che ha fatto pensare agli investigatori che fosse stato utilizzato per altri colpi. Con ogni probabilità è stato lì il punto in cui è avvenuta la staffetta: i cinque malviventi si sono divisi. Due sono saliti a bordo di una Fiat Punto rintracciata e bloccata al casello di Treviso Nord. Lì sono scattate le manette. All'interno della vettura, sotto il tappetino anteriore del passeggero, era stato creato un vano appositamente per nascondere la busta contenente il bottino, immediatamente sequestrato.

Gli altri tre invece hanno continuato a fuggire sulla Mercedes Classe A di M.C., individuata all'altezza di Mestre. Da quel momento è scattato l'inseguimento tra pattuglie della polizia stradale e carabinieri. Inseguimento che si è concluso una decina di chilometri più tardi in via Caravaggio. Nelle vicinanze dello Stinger. Venne sequestrata anche la pistola.

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