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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca Lido

Appalti "turbati" e fondi neri, bufera sopra il Consorzio Venezia Nuova

Ai domiciliari l'ex presidente Mazzacurati. Quattordici persone devono rispondere di turbativa d'asta. Scoperto un sistema di fatture false

Dai sassi croati alle cartiere austriache. L'indagine che si è abbattuta sul Consorzio Venezia Nuova e che ha portato agli arresti domiciliari il suo ex presidente Giovanni Mazzacurati, 81enne, ha il suo fulcro in laguna ("nel modo in cui spesso si lavora a Venezia", ha sottolineato il maresciallo Renzo Nisi, comandante del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza) poi, però, prende vie spesso oscure che oltrepassano i confini regionali e nazionali. Tant'è vero che oltre alle quattordici persone raggiunte da ordinanze restrittive (sette arresti domiciliari, sette obblighi di dimora) per turbativa d'asta, stamattina sono state eseguite circa 140 perquisizioni in Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Campania. Impiegato un "esercito" di  500 finanzieri per far luce sul dedalo di imprese che fanno capo al Consorzio Venezia Nuova e ala costruzione del Mose.

INTANTO CONTINUANO I LAVORI DEL MOSE

Le fiamme gialle hanno ottenuto la firma delle ordinanze di custodia cautelare da parte del gip sulla base di due filoni d'inchiesta. Il primo, che ha costituito l'effettivo pertugio attraverso cui allargare mano a mano gli orizzonti investigativi, investe una ditta di Chioggia. Quest'ultima, secondo gli inquirenti anche su "ordine" dei dirigenti indagati del Consorzio Venezia Nuova (oltre all'ex presidente dimessosi il 28 giugno scorso sono finiti agli arresti domiciliari un consigliere e un dipendente) avrebbero messo in piedi un sistema di cartiere in grado di produrre fatture false accertate per 5milioni 800mila euro. Le carte venivano fabbricate materialmente nella città clodiense, per poi essere girate a Villach, appena oltre il confine. Nel mirino sassi d'affondamento da utilizzare nel cantiere alla bocca di porto di Chioggia. Sassi il cui costo veniva gonfiato per creare fondi neri (su come poi venissero spesi questi soldi sono ancora in corso indagini). Gli accertamenti risalgono al 2009, dopodiché per ricostruire tutta la documentazione (per le fiamme gialle "inequivocabile") ci sono voluti anni. Una grossa mano alle indagini l'avrebbe data una chiavetta USB sequestrata a una segretaria della ditta clodiense: all'interno registrati passaggi illeciti di denaro, nomi e aziende.

Ciò ha permesso ai baschi verdi di gettare luce su un sistema in cui il "dominus" sarebbe stato l'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, dimessosi dalla carica per motivi di salute. L'accusa principale per i 14 indagati, infatti, è di turbativa d'asta: i fatti contestati si verificano tra maggio e giugno 2011. Per capire come mai però la Finanza si è mossa bisogna prima fare un passo indietro: il Consorzio Venezia Nuova in laguna è infatti concessionario unico per i lavori del Mose. I bandi di gara li gestisce lui con la supervisione del magistrato alle Acque. Diverso invece il caso dell'Autorità portuale, in cui i bandi devono essere pubblici e le regole legate a criteri del libero mercato e del maggior ribasso. Due anni fa, per dei lavori di dragaggio, il Porto quindi emana un bando pubblico per lavori da quindici milioni di euro suddivisi in tre stralci.

Secondo gli investigatori, però, l'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova si sarebbe speso per preparare il terreno a un'associazione temporanee di imprese "piccole" che avrebbero espresso tutto il loro malumore per la mancanza di commesse. Questo, però, a scapito del risparmio per lo Stato e per i cittadini. Se è vero infatti che in media in questo tipo di appalti si riesce a raggiungere un ribasso di circa il 46%, in questo caso fu "solo" del 10%. Telefonate (intercettate) e incontri per far sì che nessuno presentasse un'offerta più vantaggiosa rispetto all'Ati. Alla fine, però, il piano naufragò: una ditta alll'interno della galassia del Consorzio, infatti, due minuti prima della chiusura presentò il proprio progetto e, naturalmente, vinse. Scatenando però l'ira dei dirigenti indagati del consorzio. Secondo gli inquirenti ciò determinò una ridda di subappalti nei mesi successivi per far passare il mal di pancia a quelle piccole imprese che all'ultimo si erano viste scippare (legalmente) il lavoro sotto il naso. L'elenco delle 14 persone finite nel mirino del magistrato, infatti, ci sono anche i rappresentanti dell'Ati che avrebbe dovuto vincere.

Il Porto, va sottolineato, ha fatto ciò che doveva fare. Il problema, secondo forze dell'ordine e pubblico ministero, starebbe dall'altra parte. Accertamenti sono ancora in corso, ma gli uomini del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza non fanno mistero che stanno passando al setaccio gli interventi a tutte e tre le bocche di porto su cui sorgerà il Mose. Sarà un'estate calda.

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