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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca Eraclea

Violenza, minacce, attentati: «Siamo i Casalesi, devono avere paura di noi»

Sparatorie, rapine, spedizioni punitive. Mentre sul lato "istituzionale" si erano assicurati collegamenti con la politica, le forze dell'ordine e gli ambienti giudiziari. Come la camorra ha agito per vent'anni sul litorale veneziano

È lunghissima la lista dei reati compiuti dai camorristi sul litorale veneziano negli ultimi vent'anni, impressionante la sistematicità delle azioni criminali e delle modalità mafiose con cui venivano messe in atto. Potevano contare su un arsenale da guerra e agivano con arroganza, mettendo sempre in evidenza che loro erano i casalesi, erano quelli della camorra. La loro forza erano le minacce di ritorsione, le intimidazioni e poi la capacità di indurre all'omertà e di portare gli imprenditori e la politica dalla loro parte. In questo modo, per molto tempo, hanno comandato tra Eraclea, Jesolo e Caorle.

Gli attentati

Anche perché alle minacce seguivano i fatti. La sparatoria contro un'agenzia immobiliare di San Donà, nel novembre del 2002: quattro colpi di arma da fuoco contro le vetrate come "avvertimento" al titolare, che si rifiutava di pagare un presunto debito (per l'episodio venne arrestato Tommaso Napoletano). Oppure l'incendio a un cantiere nautico a Castello, Venezia, nel 2009: tre barche distrutte, sempre per costringere il proprietario a restituire somme di denaro. Ad Adriano Burato, politico "scomodo" che aveva denunciato le ingerenze dei camorristi nel comune di Eraclea, avevano incendiato l'automobile, nel 2006. Avevano a disposizione un arsenale di armi da guerra: mitragliatori Skorpion, decine di pistole, kalashnikov, munizioni. Alcune di queste venivano procurate da tale Igor, un bosniaco «in grado di rifornire il clan di armi, droga e banconote false». Con una di queste pistole avrebbero messo a segno una rapina con sequestro di persona, nel 2014, all'Admiral Club di Monselice: il direttore viene circondato da tre individui a volto coperto, uno di loro gli punta l'arma alla bocca e lo costringe a consegnare i soldi. Molte volte, comunque, erano sufficienti le intimidazioni, in particolare quelle di Luciano Donadio («di te hanno paura», gli dicevano i soci) e dei suoi più stretti collaboratori, Raffaele Buonanno e Christian Sgnaolin: «stai rischiando grosso», «lo distruggo a lui e pure a quelli che gli sono intorno», «si faccia trovare al telefono oppure passerà dei brutti momenti». Gli episodi di susseguono, come il pestaggio che sarebbe stato eseguito da Luigi Paolì nei confronti del capocantiere di una ditta edile «per fargli capire chi comanda». Un altro imprenditore si trova nei guai con Antonio Pacifico e Francesco Verde: alla richiesta di pazientare qualche giorno per la restituzione di soldi, racconta la vittima, «Pacifico ha reagito prendendomi per la gola, stringendo violentemente e procurandomi un dolore lancinante».

Il business dell'usura

Non si contano gli episodi di usura perpetrati per anni ai danni di imprenditori di tutto il litorale. I membri del clan prestavano somme di denaro che andavano da qualche decina di migliaia di euro (o l'equivalente in lire) ai 200mila, pretendendo poi interessi mensili tra il 10 e il 20%. Se qualcuno non riusciva a restituirli, erano guai: «Ti faccio venire giù, me li porti e ti prendi anche qualche schiaffone. Sono fuori casa tua adesso». E ancora: «Comincio a innervosirmi, gli devo far uscire il sangue da qua adesso. Me lo devi portare, per le orecchie, perché è un uomo di merda. Lo faccio picchiare». In molti casi le vittime erano costrette a cedere quote di società, appartamenti, locali. Da Amorino Zorzetto (successivamente arrestato per bancarotta fraudolenta) si sarebbero fatti consegnare almeno 350mila euro, poi presero possesso di un suo bar a Jesolo. Altra estorsione, nel 2015, ai danni del titolare di un ristorante di Eraclea: minacce da parte di Girolamo Arena, sempre su incarico di Donadio, per convincere il ristoratore a pagare due dipendenti conoscenti di Michela Basso, moglie di Arena. Il ristoratore cede, i criminali commentano soddisfatti: «Si è messo a disposizione».

«Il nostro sindaco»

E poi c'era chi copriva, proteggeva, agevolava. Eraclea era stata "conquistata" fin dal 2006, anno delle elezioni: Donadio e Graziano Poles avrebbbero contribuito economicamente alla campagna elettorale di Graziano Teso, sindaco uscente, in cambio di future utilità su vendita e destinazione urbanistica di immobili. Stesso copione nel 2016: Mirco Mestre avrebbe vinto grazie a un centinaio di voti assicurati dalle famiglie del clan, che in cambio avrebbero chiesto favori e autorizzazioni. Ad esempio una veloce approvazione del progetto per la costruzione di un impianto a biogas in località Stretti. Mestre sarebbe intervenuto in prima persona anche in favore di Antonio Puoti, riuscendo a fargli ottenere l'assegnazione di un alloggio popolare nel 2017 al canone di 345 euro mensili. «Abbiamo vinto», festeggia il clan: «quello è il mio avvocato, u compagno mio», dice Donadio. Puoti è stato arrestato un paio di giorni dopo gli altri: lo ha intercettato la squadra mobile di Caserta giovedì e i reati contestatigli sono associazione per delinquere a stampo mafioso, usura, rapina, bancarotta fraudolenta e spaccio di droga.

Colletti bianchi

I camorristi si garantivano l'impunità tramite una rete di contatti nelle banche, nei tribunali e tra le forze dell'ordine. Il banchiere Denis Poles avrebbe consentito ai camorristi di operare sui conti delle società senza averne titolo e per questo sarebbe stato ricompensato con beni e utilità del valore di decine di migliaia di euro; Annamaria Marin, presidente della Camera penale di Venezia e avvocato penalista, avrebbe agevolato illecitamente Buonanno e Donadio fornendo informazioni sulle vicende giudiziarie di altri indagati. E poi Moreno Pasqual, poliziotto che avrebbe aggiornato i componenti del clan sulle indagini a loro carico, intervenendo in caso di necessità: come quando coprì Donadio, Puoti e Cugno dopo una rissa, spiegando agli agenti della volante: «Sono bravi ragazzi». In cambio avrebbe ottenuto un appartamento, un lavoro per la fidanzata, lavori edili in casa della madre.

Droga e valuta estera

Il clan diversificava gli affari: certamente tra il 2006 e il 2010 i componenti importarono regolarmente cocaina a intervalli regolari, 2 o 3 etti alla volta. Se ne occupavano gli albanesi: sono stati ricostruiti diversi scambi a Mestre, poi la droga veniva spacciata sul litorale. C'era anche l'opportunità di guadagnare dal traffico di valuta estera, in particolare l'acquisto e la vendita di Marchi dell'ex DDR, nel luglio 2011. I soldi arrivavano dalla Campania e la conversione in euro andava fatta in Austria. Pietro Morabito viene scoperto a San Donà dalla guardia di finanza con un borsone pieno di banconote, e così l'affare viene rinviato di qualche mese: nel 2012 Morabito riesce a consegnare il contante a Donadio, che ne dà una parte a Samuele Faè, uno dei "contabili" del gruppo: è lui ad occuparsi di trovare banche in Svizzera e nel Vaticano in cui versare il denaro oggetto di riciclaggio.

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