Duro colpo al calzaturiero "cinese" in Riviera del Brenta: chiusi 14 laboratori
I carabinieri di Chioggia, la guardia di finanza di Mirano e l'ispettorato del lavoro hanno controllato 34 sedi produttive. Scoperti 41 lavoratori in nero e un denso muro di omertà
Una realtà borderline, che si caratterizza per omertà e diritti del lavoro violati. Un'operazione congiunta dei carabinieri della compagnia di Chioggia, guardia di finanza di Mirano e ispettorato del lavoro ha portato alla chiusura di quattordici tomaifici e pelletterie. Laboratori gestiti da cittadini di nazionalità cinese con alle dipendenze loro connazionali. I controlli sono stati condotti soprattutto nella Riviera del Brenta e nel Cavarzerese. Pianiga, Campagna Lupia, Fossò, Vigonovo, Cona e Cavarzere. In questi paesi, in luoghi anonimi, con vetri oscurati e spesso con telecamere di sorveglianza per controllare accessi e movimenti delle forze dell'ordine, sorgevano i tomaifici "incriminati", in cui il lavoro nero superava il 20% dei dipendenti. In due casi la totalità degli operai era senza contratto, in altri tre sono stati trovati lavoratori clandestini. Per questo motivo sono scattate le denunce a piede libero per i gestori. In più sono state scoperte 22 posizioni che dovranno essere approfondite dai tecnici dell'ispettorato del lavoro. In tutto sono stati 34 i laboratori passati al setaccio, e 41 i dipendenti in nero scovati dagli inquirenti.
Con la crisi, però, l'organizzazione di questi tomaifici e pelletterie, che si trovano in fondo a una catena di produzione che in alcuni casi arriva a stabilimenti di grandi marche, è cambiata. Almeno in alcuni elementi fondamentali: non esiste più lavoro minorile. Esiste però una sorta di rete sovraregionale che permette di gestire dipendenti cinesi con flessibilità. Alcune ragazze scoperte a lavorare il cuoio, durante la settimana facevano le massaggiatrici nelle Marche. Poi, il weekend, arrivavano in Riviera per prestare i propri servigi. Flessibilità e costi bassi chiede il mercato, e flessibilità e costi bassi offrono questi laboratori. Per la disperazione di molti imprenditori della Riviera attivi nel distretto del tessile e delle calzature. Negli ultimi tempi scesi in strada per chiedere di poter operare in un sistema di mercato equo.
In tutto sono state comminate sanzioni per 112mila euro, oltre a quelle che potrebbero essere individuate dalle fiamme gialle nel proseguio dei controlli. Tra i 14 lavoratori chiusi, però, si è già scatenata una sorta di "corsa alla regoolarizzazione": i gestori colti in fallo, infatti, pagando una multa di 1.500 euro allo Stato e i contributi ai lavoratori in nero, può riaprire subito l'attività. Siccome nella totalità dei casi i dipendenti dichiarano che proprio quello dei controlli "era il primo giorno occupato in quel laboratorio", le strutture possono riprendere subito a produrre. Avendo cura però di passare indenni gli accertamenti successivi di forze dell'ordine e ispettori del lavoro. Il costo c'è, ma anche la possibilità di limitare i danni.
Nei piccoli locali (in un caso in 25 metri quadri lavoravano sette persone) non c'erano pause. Le otto ore non esistevano. Si lavorava giorno e notte. E in caso di controlli, grazie alle telecamere, c'era chi faceva salire tutti al primo piano. In modo da dimostrare che lì il "sistema cinese" non aveva attecchito.