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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Le condanne nel processo alla ndrangheta in Veneto

È quello del clan Bolognino, in cui sono coinvolti imprenditori locali che avrebbero favorito un grosso giro di riciclaggio, fatture false, violenze ed usura

La sentenza di oggi chiude il processo abbreviato che, in sostanza, conferma le accuse mosse nel corso dell'inchiesta Camaleonte ad una parte del "clan dei Bolognino", collegato con la famiglia calabrese Grande Aracri: un'associazione per delinquere di stampo mafioso che, fino al 2015, avrebbe compiuto in varie aree del Veneto e del centro-nord Italia estorsioni, violenze, episodi di usura e riciclaggio, emissioni di fatture false.

Condanne

Nel procedimento a carico di coloro che avevano scelto il rito abbreviato, lunedì il gip Luca Marini ha condannato 32 imputati ad un totale di circa 116 anni di reclusione, oltre a confische a carico di 23 imputati della somma complessiva di quasi 16 milioni di euro.

Tra i personaggi chiave ci sono, appunto, i fratelli Bolognino: per Francesco il giudice ha emesso la condanna a 6 anni e 4 mesi di reclusione, per Michele 13 anni e 4 mesi. Condanna a 3 anni per Adriano Biasion, 2 anni a Leonardo Lovo (pena sospesa), 1 anno a Federico Schiavon (sospesa), 4 anni e 4 mesi ad Antonio Brugnano, 4 anni e 6 mesi a Mario Vulcano, 6 anni e 2 mesi a Tobia De Antoni.

Confische milionarie

Alle condanne si aggiungono, come detto, confische di somme importanti per un totale di quasi 16 milioni: le più grosse, entrambe del valore di circa 5,2 milioni di euro, sono a carico proprio degli imprenditori veneti Biasion e Lovo, il primo di Piove di Sacco e il secondo residente a Campagna Lupia e originario di Camposampiero, accusati di aver favorito il gruppo riciclando il denaro sporco proveniente dagli affari della cosca.

Indagini

Il primo filone del processo si conclude oggi, mentre i dibattimento continua su due fronti: uno padovano, in corso per reati di associazione mafiosa, che ha tra gli imputati il terzo fratello Bolognino, Sergio, e il calabrese Antonio Genesio Mangone; l'altro veneziano, per i reati di bancarotta e false fatture. Le indagini, coordinate dalla Dda di Venezia, sono state eseguite dai carabinieri del comando provinciale di Padova.

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