rotate-mobile
Cronaca

Suicidio in carcere a Venezia. La famiglia: «Bassem si poteva salvare». Il sindacato inizia un tour

Negli istituti penitenziari del nord per aggiornare la “mappa emergenze”. La moglie e la cognata del detenuto in semilibertà, e con un lavoro, a cui è arrivata dopo 5 anni l'ordinanza di custodia al Santa Maria Maggiore, chiedono giustizia

A due giorni dal suicidio al Santa Maria Maggiore di Bassem Degachi, detenuto e in regime di semilibertà – con la prospettiva di un affidamento ai servizi sociali a settembre – e dopo l'appello della moglie Silvia e della cognata Elisa, affinché venga fatta giustizia, il sindacato di polizia penitenziaria organizza un tour per le carceri del nord. 

«Raccoglieremo direttamente dal personale penitenziario le maggiori problematicità per aggiornare la “mappa delle emergenze”», fa sapere segretario generale, Aldo Di Giacomo, che ha iniziato giovedì da Aosta e proseguirà nelle maggiori carceri dell’Emilia Romagna, della Val d’Aosta, del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e del Friuli. «Quello dei suicidi – sottolinea Di Giacomo – è senza dubbio un’emergenza che nelle carceri del nord ha aspetti particolari, anche per la presenza di tossicodipendenti». Tra le altre questioni c'è il sovraffollamento e la presenza massiccia di popolazione straniera concentrata negli istituti penitenziari del nord Italia, con percentuali che superano il 40 per cento.

Martedì mattina, dopo che Silvia Padoan, moglie di Degachi, aveva ricevuto dal marito una prima telefonata agitata, e poi una seconda disperata verso le 10, aveva tentato di darme l'allarme alla portineria del carcere, chiedendo che andassero a vederlo perché aveva minacciato di togliersi la vita. Come la donna ha raccontato, sono state diverse altre le chiamate di Bassem e poi tre o quattro le sue fatte al carcere per lanciare l'allarme. Fino alle 12.21. Ultima telefonata fra i coniugi. Silvia poi ha sentito la portineria alle 14.21, e alle 14.22 è stato certificato il decesso: dovevano averlo trovato senza vita. Alle 15 la matricola con freddezza ha comunicato alla famiglia la morte di Bassem, probabilmente scoperto nel bagno da un agente a cui lui si era nel tempo particolarmente affezionato.

«Poteva essere salvato. Vogliamo giustizia. È stato pagato uno sbaglio con la vita di un uomo, e non deve succedere mai più a nessuno», le parole di Silvia Padona ed Elisa Poletto. La procura sul caso ha aperto un'inchiesta e ha disposto l'autopsia. La misura del carcere, che ha raggiunto Bassem e altre dieci persone dopo la maxi operazione dei carabinieri di Mestre, era stata chiesta nel maggio del 2020, ma a causa della carenza di magistrati era rimasta ferma per due anni. Nel frattempo Degachi aveva acquistato la semilibertà e aveva trovato un lavoro alla remiera di Sant'Alvise. La moglie si domanda come sia potuto accadere che mentre da un lato si andavano a migliorare le condizioni della detenzione del marito, che aveva trovato un'occupazione, era sereno e già proiettato nel futuro, dall'altro sia stata disposta la misura cautelare in carcere, nell'ambito dello stesso sistema giudiziario. «Non molleremo - dice la donna - fino a quando non verrà fatta giustizia».

«C’è un’enorme lavoro da fare per salvare questi ultimi della società, di cui lo Stato nelle sue diverse diramazioni deve farsi carico - il commento del consigliere comunale Giovanni Andrea Martini (Tutta la città insieme!) - Sono cose note, basta parlare con chi nelle carceri, o nei servizi sociali, ci lavora. E sono cose che i cittadini chiedono. È chiaro che pretendono che i loro quartieri tornino ad essere luoghi sicuri in cui vivere, ma sanno che con la repressione e basta si ottiene poco. Risultati temporanei, che non risolvono davvero la situazione».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Suicidio in carcere a Venezia. La famiglia: «Bassem si poteva salvare». Il sindacato inizia un tour

VeneziaToday è in caricamento