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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Mestre Centro / Via Piave

Moschea chiusa, l'associazione bengalese pronta a battersi per restare in via Piave

Finisce in scontro la vicenda del centro di preghiera. Dopo la diffida del Comune i responsabili annunciano ricorso. Il sindaco Brugnaro: «Va fatta in Fincantieri». Il portavoce Howlader: «Ci diano un posto che vada bene anche alle istituzioni»

Alla diffida del Comune alla moschea di via Piave l'associazione bengalese risponde che farà ricorso. Ed è muro contro muro. Una diversa destinazione d'uso, sicurezza e incolumità non garantite, frequentazione oltre la capienza consentita e nessun controllo, oltre a un maggior afflusso di traffico all'esterno. Questo dice il documento del Settore Edilizia recapitato all'associazione che ha preso in affitto i locali dell'ex supermercato Pam al civico 17, chiusi e vuoti, circa 800 metri quadri. Per lasciare l'immobile c'è tempo 30 giorni. Il responsabile del centro culturale, che è anche un centro di preghiera e dopo scuola, Shomrat Abdullah, ha però intenzione di mettere tutto nelle mani di un avvocato per un eventuale ricorso. «Non ci aspettavamo - ha detto - l'ordine di chiusura».

Contro il nuovo centro islamico anche la Municipalità di Mestre Carpenedo che appena qualche giorno prima aveva depositato una mozione chiedendo la verifica dell'uso e manifestando preoccupazione. "I cittadini temono che i locali vengano utilizzati per scopi diversi da quelli indicati, non capendo quanto viene detto all'interno e fuori, visto il non utilizzo della lingua italiana", si legge nel testo. Ieri dalle 18 alle 20 la Lega di Mestre si è ritrovata proprio lì in via Piave per manifestare il proprio disappunto.

Una soluzione per il sindaco Luigi Brugnaro va trovata, ma non in aree che non sono idonee, ha detto il primo cittadino, proponendo uno spazio in zona Fincantieri a Marghera. Sono migliaia i cittadini bengalesi che lavorano nella cantieristica perciò creando docce e spogliatoi per il dopo lavoro, troverebbero negli stessi luoghi uno spazio in cui riunirsi e pregare. Poi però dovrebbero essere raggiunti dai figli e dalle mogli, probabilmente. E c'è un'altra parte della comunità che invece sta cercando un dialogo con il Comune.

«Un anno fa mi sono presentato all'ufficio Edilizia per il permesso di avviare un centro di preghiera in via Ca' Marcello 59, nell'edificio abbandonato di 1.500 metri quadri - racconta il presidente dell'associazione "Giovani per l'umanità", Prince Howlader, uno dei portavoce della comunità bengalese - Eravamo pronti a dare una caparra di 23 mila euro, ma prima è necessario avere i permessi - dice -. Chiediamo un posto adeguato, in accordo con il Comune e le istituzioni, che non generi conflitti, dove mi prenderei la responsabilità amministrativa e gestionale e con una guida spirituale che sappia esprimersi in italiano». Howlader afferma di non avere nulla in contrario a installare telecamere interne. «Ho scritto all'assessore all'Urbanistica Massimiliano De Martin - mostra il testo della lettera - Non chiediamo niente di più che avere uno spazio di preghiera, dove potranno in ogni momento esserci dei controlli di polizia nella massima trasparenza. Chiediamo solo che non sia troppo lontano da Mestre e da Venezia, dove la maggior parte della comunità risiede e lavora. Penso - conclude Howlader - che in tutto questo la religione non vada strumentalizzata ma neppure soppressa. Ognuno abbia la libertà di professare la propria fede».

Una lancia a favore della moschea la spezza anche il partito Azione Venezia. «Le moschee, come le chiese, sono luoghi di comunione e socialità, di sostegno reciproco e di visibilità (in un certo senso anche di “controllo”) per una comunità numerosa con la quale condividiamo lo spazio di questa città e che non dovremmo far sentire ai margini. E poi però parliamo di “integrazione”, di prevenire le cause del degrado».

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