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Cronaca

"Il grande pericolo per i nostri distretti? Si chiama delocalizzazione. Chi va via, paghi"

"Molte aziende della moda e del calzaturiero del territorio hanno portato la produzione dove ha costi più bassi. Ingiusti gli aiuti di Stato se poi il Made in Italy va altrove e si perde lavoro"

Si chiama "delocalizzazione" il grande pericolo per i distretti produttivi del nostro territorio. Lo sostiene Riccardo Colletti della Filctem Cgil, sigla che da qualche anno ormai raggruppa anche i lavoratori della categoria dei settori tessile e del calzaturiero. 

Made in Italy

"Made in Italy vuol dire che tutta la filiera deve restare in Italia - dice Colletti -. Mentre le produzioni vanno all’estero, dove i costi sono più bassi e spesso se ne vanno via proprio i reparti produttivi delle filiere, mentre restano qui logistica e commercializzazione. Di questo passo il lavoro dove va a finire?", si chiede il sindacalista. "Per limitare gli effetti della globalizzazione è giusto chiedere un impegno al governo e all'Europa. Perché la legislazione va resa uniforme e le aziende non possono ottenere sconti contributivi o ammortizzatori, per il sostegno nei periodi di crisi, e poi quando si sono riprese portare macchinari e lavoro all'estero. Sarebbe giusto che chi va via restituisca gli aiuti ricevuti. E al contrario, che chi resta e crea lavoro in Italia e nei territori, sia incentivato a farlo".

Protezione

Una forma di protezione? "Questo - spiega il segretario Filctem - permetterebbe di avere un’industria che si rigenera. Perché nel settore tessile, della moda, questo fenomeno è ingovernabile. Le calzature vanno un po' meglio nel Veneziano, perché il distretto ha connotati riconosciuti all’estero, brand e griffe attrattive. Quindi è più difficile delocalizzare nel silenzio totale, perché la produzione altrimenti perde valore. Ma è comunque a rischio e non possiamo permetterci che faccia la fine di Murano, ad esempio", ricorda il sindacalista pensando alle fornaci chiuse negli anni.

Responsabilità in solido

Questo è ciò di cui il sindacato ha discusso, anche a livello nazionale, in tema di sviluppo. "Per conservare e proteggere il Made in Italy e i distretti, occorre che i costi nelle filiere produttive non vengano fatti cadere tutti sui terzisti - dice Colletti -. Cioè sulle spalle delle piccole ditte alle quali le grandi committenti appaltano singoli processi di realizzazione del prodotto finito. Perché in questo modo la competizione tra i terzisti si realizza al ribasso. Le grandi imprese danno lavoro alle piccole, ma spesso queste, per aggiudicarsi la commessa, utilizzano lavoro nero o portano il lavoro dove costa meno. I grandi committenti devono essere parte del processo in tutto e per tutto. Non solo realizzare profitti, ma partecipare al costo di produzione dell'articolo che poi porta il marchio Made in Italy. E questo deve diventare la regola. Chi lavora fuori dalla regola o pretende di schiacciare i costi, non dovrebbe stare nel distretto e arricchirsi a dismisura a scapito del lavoro sottopagato o della produzione delocalizzata. Chi lo fa, commette frode", conclude Colletti.

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