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Cronaca

Teatro La Fenice come Disneyland: "Solo opere buone per i turisti"

E' la tesi del settimanale britannico Economist, che se la prende con il calendario poco innovativo. Il problema è che i conti devono tornare

Il teatro La Fenice come Disneyland: un luogo acchiappa-turisti, "colpevole" di riproporre sempre le solite, famose opere della tradizione italiana per riuscire ad attirare spettatori. E' quanto sostiene il settimanale britannico Economist, che nei giorni scorsi ha dedicato un articolo alla gestione di uno dei teatri più famosi al mondo.

Un programma di tutto rispetto, spiega l'Economist, ma decisamente poco innovativo: tra "La Traviata", "La Tosca" e poche altre opere, il teatro riesce pienamente nell'intento di riempire la sala mandando a casa i turisti soddisfatti, meno in quello di proporre un calendario culturalmente rilevante (di alto standard qualitativo, dice il settimanale inglese). Il motivo è presto detto: come più volte specificato dal soprintendente della Fenice Cristiano Chiarot, negli ultimi anni si è fatto chiara la necessità di trattare il teatro come una fonte di business. Sono finiti i tempi in cui lo Stato "foraggiava" all'infinito le fondazioni culturali, che ora devono essere maggiormente in grado di sostenersi con le proprie risorse.

Significa, in una città con 60mila abitanti ma 25 milioni di turisti all'anno, proporre iniziative più adatte a questi ultimi, dando loro ciò che vogliono: opere tradizionali, che facciano il pieno al botteghino, oltre che visite guidate proprio come al museo. Così il teatro veneziano è passato dai 112 spettacoli del 2009 ai circa 200 attuali, con un budget praticamente immutato che si attesta intorno ai 5 milioni di euro. Per gli impiegati significa stessa paga ma più lavoro: comunque meglio che perderlo, come avviene in altri teatri italiani a cui sono stati tagliati i fondi.

Eppure Chiarot non ci sta, difende la sua gestione e contrattacca, spiegando che la Fenice propone anche produzioni innovative e coraggiose. E' vero che le opere tradizionali sono molte, conclude, ma questo significa, appunto, garantire la sopravvivenza del teatro.

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