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Cronaca Jesolo

Evasione da 25 milioni di euro sulle auto di lusso, truffa "a tutto gas"

Importavano i mezzi senza versare le imposte. Attraverso cessioni fittizie piazzavano poi i veicoli a prezzi concorrenziali. Raggiro da 60 milioni

Principe. Così si faceva chiamare il deus ex machina di un complesso sistema di evasione fiscale internazionale in grado di mettere in piedi una maxi truffa al di qua e al di là della frontiera italiana, commercializzando auto di lusso. Lui è un imprenditore di Portogruaro che faceva la bella vita dichiarando poco o niente. O comunque molto meno di quanto si intascava di nascosto. Naturalmente visto che il pagamento dell'Iva era solo un miraggio, i veicoli venivano piazzati a prezzi stracciati. Assicurando poi introiti molto elevati attraverso un giro di "cartiere" in grado di emettere un vorticoso giro di fatture false. Venticinque le persone finite nei guai (e quindi denunciate) dopo gli accertamenti della guardia di finanza di Jesolo. Devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari. Otto gli arrestati, ora ai domiciliari: due del Portogruarese, due di Cremona, due di Verona, uno di Brescia e uno di Udine. 

Secondo le prime ricostruzioni dei militari di Jesolo, le tasse evase ammontano a oltre 25 milioni di euro, 18 delle quali relative all’imposta sul valore aggiunto, 6 milioni di imposte sul reddito e un milioni mancante riguardo l'Irap. Sembra che a seguito dell’importazione dei mezzi (soprattutto dalla Germania) non venisse effettuato il versamento delle imposte dovute. Insomma, l'Iva questa sconosciuta. Le imprese coinvolte nel giro losco, si legge in nota ufficiale, rivendevano successivamente i veicoli a delle società “cartiere”: a seguito di altre cessioni a società filtro, gli autoveicoli giungevano ai rivenditori finali, in grado di “piazzarli” sul mercato a prezzi concorrenziali. Il sistema era garantito da un vorticoso giro di fatture, documenti di trasporto e documenti doganali falsificati con lo scopo di giustificare il passaggio tra le varie società. Anche perché, come detto, i passaggi erano solo fittizi. I promotori del raggiro andavano personalmente ad acquistare l'auto di lusso in Germania. Dopodiché la portavano in Italia senza dichiarare alcuna importazione. La immatricolavano nel Belpaese e si intascavano l'Iva evasa. Le indagini sono scattate dopo una verifica fiscale di quella che poi si sarebbe rivelata una cartiera jesolana. La documentazione c'era, ma era tutto un castello costruito sul nulla.

Dei 25 indagati, 4 sono stati identificati come i promotori dell’associazione a delinquere, mentre 8 sono state le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del tribunale del Treviso ed eseguite dalla fiamme gialle. I finanzieri hanno anche attuato sequestri "per equivalente" per un milione e mezzo di euro.

Si tratta di una classica "frode carosello", con l'Iva evasa che al posto di finire nelle casse dell'Erario andava direttamente nelle tasche del "Principe" e dei suoi sodali. L'organizzazione aveva infatti creato un complesso reticolo di aziende, in Italia ed all'estero, esistenti solo sulla carta ed intestate a prestanome o persone di fiducia, allo scopo di acquistare auto da fornitori comunitari, principalmente tedeschi. A seguito dell’importazione da parte del primo anello della catena nazionale, costituito da imprese denominate ‘missing traders’ (in quanto dopo breve tempo “scomparivano”, occultando ogni documento contabile e omettendo la presentazione delle dichiarazioni fiscali) non veniva effettuato il versamento delle imposte dovute all’importazione.


Queste imprese, poi, rivendevano gli autoveicoli, sempre solo sulla carta, a società ‘cartiere’; dopo una serie di ulteriori cessioni fittizie tra società cartiere e società filtro (dalle quali, pur essendo presentate le dichiarazioni fiscali, provenivano minimi versamenti d’imposta ma solo per raggiungere il pareggio di bilancio), gli stessi autoveicoli arrivavano ai rivenditori finali per essere poi ceduti al cliente, su ordinazione, a prezzi concorrenziali. Il sistema evasivo era garantito da un vorticoso giro di fatture, documenti di trasporto e documenti doganali rigorosamente falsificati, al solo fine di giustificare i passaggi degli autoveicoli tra le società. I debiti in fatto di tributi venivano, invece, lasciati in capo alle società fittizie e ai prestanome compiacenti e soprattutto nullatenenti, che non eseguivano il versamento delle imposte.
 

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