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Cronaca

I sequestri ai Marzotto arrivano fino in Laguna: "Evasione da 65 milioni"

Oltre ai rampolli della famiglia vicentina, tra gli indagati per l'omessa dichiarazione dei proventi della vendita del marchio Valentino ci sono anche tre esponenti dei Donà dalle Rose

Il 'pezzo forte' è villa Trissino, una dimora più simile a un castello, con oltre 50 stanze e immersa nella campagna vicentina. E poi, oltre a terreni, altre ville e appartamenti a cinque stelle in Veneto, tra cui nella esclusiva Cortina D'Ampezzo, a Padova e a Roma. Sono quasi cento gli immobili che la Guardia di Finanza di Milano a partire dalla scorsa settimana sta sequestrando, accanto a partecipazioni societarie, alle famiglie Marzotto e Donà delle Rose (storica famiglia veneziana che annovera tra i suoi antenati anche tre do, i cui 'rampolli' sono finiti sotto inchiesta per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.

 

Si tratta di beni per un valore di oltre 65.5 milioni di euro, cifra equivalente a quanto i 13 indagati (sei esponenti dei Marzotto e tre dei Donà delle Rose) avrebbero sottratto al fisco nel 2008 con la vendita delle loro quote di Valentino Fashion Group al fondo inglese Permira attraverso la Icg, una società, per l'accusa creata ad hoc, con sede in Lussemburgo. L'indagine, che oggi ha portato al maxi sequestro preventivo diposto dal gip milanese Gianfranco Criscione, è partita da alcuni accertamenti dell'Agenzia delle Entrate, ed è coordinata dai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta. Tempo fa ci furono anche perquisizioni e, oggi, dopo una serie di attività investigative sono arrivati i 'sigilli' per evitare l'alienazione di beni che in ultima analisi appartengono a una famiglia di industriali del tessile tra le più rinomate in Italia.

 

Secondo la ricostruzione degli inquirenti e riportata nel provvedimento del giudice, cinque anni fa, con la vendita di Valentino Fashion Group, i titolari della maggioranza relativa della società della moda, esponenti delle famiglie Marzotto e Donà dalle Rose, hanno prima "concentrato" le quote che ciascuno deteneva per poi cederle, per un totale del 29,62% del capitale, alla lussemburghese Icg (International Capital Growth) comunque di loro proprietà. La Icg, in seguito, ha concluso l'operazione (preceduta da "incontri romani" dei soci-amministratori) con il fondo, consentendo, per i magistrati, di realizzare una plusvalenza di quasi 200 milioni di euro, non dichiarati in Italia, in quanto la vendita finale è avvenuta attraverso una società ritenuta esterovestita. Ciò ha avuto l'effetto di non versare, nel 2008, tasse per 65 milioni di euro.

 

E non solo. Come ha annotato il gip, l'intero profitto realizzato, al lordo dell'evasione fiscale, cioé sempre i circa 200 milioni, dopo la compravendita avrebbe preso il volo per le isole Cayman, circostanza che, "costituisce un chiaro e significativo indice del pericolo che gli odierni indagati possano trasferire all'estero almeno parte dei propri beni, oppure compiere altre operazioni finalizzate all'elusione dei rispettivi obblighi tributari".

 

A tutti è stato contestato di aver omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, quando in realtà era obbligatoria. Anche perché avrebbero tentato di dribblare il fisco creando appositamente, come si evince dal provvedimento del giudice Criscione, la lussemburghese Igc (le risultanze d'indagine però dimostrerebbero la sua "italianità") per poi, a operazione conclusa, metterla in liquidazione. Gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo, gli storici legali di Silvio Berlusconi, difensori anche di alcuni esponenti della famiglia Marzotto-Donà delle Rose, citando consulenze e documentazione bancaria, hanno bollato il sequestro come "infondato" e l'ipotesi del trasferimento delle plusvalenze alle Cayman "frutto di un evidente sbaglio". E per questo è già stata chiesta la revoca del provvedimento del gip al Tribunale del Riesame. (Ansa)

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