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Cronaca

"Ma tu non sei un vero bambino", sgominata rete di orchi delle chat

I pedofili facevano finta di essere dei minorenni per adescare le loro vittime. Denunciati in 53. Indagini partite dal computer di un veneziano

"Tu non sei un vero bambino". No, non lo era. E come altri suoi "simili" bazzicava nelle chat dei social network più noti per cercare (per ora non sono state trovate prove che qualche azione dal piano digitale abbia raggiunto quello "fisico") di adescare qualche minorenne. Fingendosi tale. A volte, però, anche i bambini capivano che chi rispondeva dall'altra parte era un intruso. Un "fake". E ci stavano alla larga. Purtroppo però la rete di relazioni e scambi di file che gli agenti della polizia postale di Venezia hanno scoperchiato è molto estesa. Fino a varcare i confini dell'oceano. Fino a raggiungere per esempio gli Stati Uniti o il Messico. Si tratta di cinquantatré persone, di età compresa tra i 18 e il 69 anni, che a un certo punto, del tutto per caso, si sono imbattute tra di loro durante le varie frequentazioni in chat. Prima botta e risposta "bambineschi", visto che entrambi i pedofili fingevano di essere in tenera età, poi la scoperta che dall'altra parte c'era un altro fake. A quel punto ci si levava la maschera e si intrecciava il più delle volte una sorta di relazione solidale caratterizzata da scambio di foto, video e materiale compromettente.

Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Massimo Michelozzi, sono iniziate nel 2013. Quando dal computer di un cameriere veneziano di 26 anni, allora arrestato per reati inerenti alla pedopornografia, saltarono fuori alcune conversazioni compromettenti. Specie dalla sua casella di posta elettronica. Da lì gli uomini della sezione di polizia giudiziaria della postale sono partiti per poi risalire alle altre relazioni digitali. Quel computer ha costituito una sorta di passepartout per accedere a chat e file, dopodiché nel mirino sono finite anche 75 caselle di posta e 26 stranieri (di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Belgio, Polonia, Messico, Argentina, Russia, Spagna, Repubblica Ceca) e 27 italiani (oltre che in Veneto residenti in Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana). Tutti denunciati.

Uno tra loro, un 50enne camionista toscano, è stato raggiunto dalla notifica quando già si trovava in carcere per reati simili perpetrati in precedenza. Proprio tra i suoi file gli investigatori sono riusciti a identificare la macchina fotografica e un bambino immortalato in una foto. E altre immagini sequestrate durante le indagini sarebbero stata prodotte con quello stesso modello. Si tratta dell'unico caso di materiale "autoprodotto" scoperto, ma gli accertamenti continuano. In altri casi i bambini "veri" avrebbero inviato ai loro interlocutori foto della propria vita quotidiana, senza mai cadere nel tranello digitale che gli era stato teso. Conversazioni che risalgono anche a diverso tempo fa. Almeno dal 2011. E che coinvolgono insospettabili di ogni fascia d'età e di estrazione sociale. Dall'operaio al camionista. Dallo studente al militare. Per poi passare per il pensionato (un padovano), il dirigente e il programmatore informatico.

Il Veneto, oltre che il Veneziano, purtroppo non esce indenne da questa piaga. In tutto sono state eseguite quattro perquisizioni dalle forze dell'ordine, nei confronti di altrettante persone denunciate. Si tratta di un 19enne studente trevigiano, di un 20enne studente veronese, di un programmatore informatico specializzato in reti di comunicazione 36enne padovano e di un pensionato 69enne padovano. Ma tutto è partito dal territorio lagunare, da quel 26enne insospettabile che poi su Facebook e simili si trasformava in un orco.

"CI AUGURIAMO DI NON TROVARE ADESCAMENTI RIUSCITI"

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