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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Mira

L'incidente della piscina di Mira, chiesti 12 milioni di risarcimento

Nel 2012 un adolescente cadde dal tetto rimanendo tetraplegico. Parti civili anche genitori e fratello. Rinviati a giudizio in sette, compreso il sindaco Maniero

"Possono sembrare cifre spropositate, invece sono giuste perché questo caso ha distrutto una famiglia". Non usa mezze parole l'avvocato Augusto Palese al termine dell'udienza di lunedì mattina durante la quale ha chiesto otto milioni e mezzo di euro di risarcimento danni nei confronti del Comune di Mira e dei gestori della piscina del paese della Riviera.

Il processo si aprirà il 27 aprile prossimo e ruota attorno alla caduta di un adolescente dal tetto della struttura mirese il 20 luglio 2012. Il giovane di sera si trovava in compagnia di altri due amici sul tetto della piscina, mise un piede su un lucernario e cadde all'interno dell'edificio. Dopo l'incidente rimase tetraplegico e bisognoso di cure continue. Invalido al cento per cento. Per l'episodio sono stati rinviati a giudizio per lesioni colpose aggravate dal mancato rispetto delle regole antinfortunistiche il sindaco di Mira, Alvise Maniero, due dirigenti comunali, il gestore della piscina e i rappresentanti delle due ditte che a quel tempo erano impegnati in lavori di ristrutturazione. Nella lista anche il progettista del cantiere e responsabile della sicurezza 

Lunedì mattina, di fronte al giudice monocratico Sara Natto, Renato Alberini, Paolo Vianello e Gian Luca De Biasi, avvocati delle altre tre parti offese (la madre, il padre e il fratello del giovane) hanno chiesto ulteriori risarcimenti per 3milioni 300mila euro. Dopo una prima richiesta d'archiviazione dell'inchiesta da parte del procuratore capo Luigi Delpino, il gip Andrea Comez aveva invece chiesto il processo per gli imputati, partendo dall'assunto che le misure antinfortunistiche del cantiere avrebbero dovuto essere presenti non solo per operai e tecnici, ma anche per eventuali terze persone presenti nell'area dove insistono tali norme. Considerando "luogo di lavoro" anche ogni altra zona in cui gli operai possano essere costretti a recarsi per incombenze varie nel cantiere. Compreso il tetto della piscina dunque, dove secondo il giudice avrebbe dovuto essere messo in sicurezza il lucernario. E in più avrebbe dovuto essere scoraggiato l'accesso alla copertura della piscina, visto che durante quell'estate a più riprese sarebbero stati segnalati giovani sul tetto.

"Non c'è spirito vendicativo nei familiari - commenta l'avvocato Palese - ma solo una legittima pretesa risarcitoria che possa assicurare al ragazzo e a una famiglia distrutta il giusto risarcimento per il danno, comprensivo di quanto servirà per la sua assistenza futura. Ora molto dipenderà dall'atteggiamento che vorranno tenere le compagnie assicurative". Al termine dell'udienza il giudice monocratico ha ammesso le costituzioni di parte civile.

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