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Cronaca Cona

"Qui non si vive": sei mesi dentro l'hub di Conetta, le ragioni dei profughi

Una cinquantina quelli usciti in strada mercoledì, poi il confronto con la cooperativa. Ma il problema c'è, sono assiepati in centinaia e vivono in una situazione più che precaria

Era il 24 luglio del 2015 quando i primi cinquanta profughi entrarono nella ex base missilistica a Conetta di Cona: venivano da Eraclea, altra realtà in cui il limite era probabilmente già stato superato. Il residence "Magnolie" ne aveva ospitati fino a quel momento circa 200, e il flusso non accennava a diminuire. Il trasferimento a Cona fu decretato proprio per non sovraccaricare di presenze la località balneare, inizialmente fissato sulla quota di 100 migranti.

Da allora è successo un po' di tutto: le persone giunte nella ex base militare trasformata in fretta e furia in centro di accoglienza sono diventate centinaia, rendendo quello di Conetta un hub a tutti gli effetti, oltretutto in una frazione di 200 anime. Molti se ne sono andati, moltissimi altri sono arrivati, tanto che risulta difficile fare una conta precisa delle presenze effettive. Si parla di cinque, seicento persone. Il tutto fra i timori dei residenti e lo sconcerto del sindaco Alberto Panfilio, che per mesi ha lanciato appelli evidenziando l'assurdità di stipare tanta gente in un "lager moderno", dannoso tanto per i cittadini quanto per gli ospiti. Tant'è: lui ha poca autorità su quell'area, che è di proprietà del ministero dell'Interno. E poi manifestazioni, da una parte e dall'altra, per ribadire che quella situazione non piace a nessuno.

Intanto, a sei mesi di distanza, il problema resta. Sono usciti in una cinquantina, mercoledì mattina, di nuovo in strada per protestare pacificamente contro le condizioni di vita all'interno della base. Sono troppi in uno spazio troppo piccolo, le condizioni igieniche sono a dir poco precarie, il cibo è quello che è. E poi chiedono di accelerare le pratiche per il rilascio dei documenti, quelli che permetterebbero loro di andarsene (molti all'estero) e provare a farsi una nuova vita. Tutte ragioni che i profughi hanno esposto nel corso di un confronto con i responsabili della cooperativa che gestisce il centro di accoglienza. Sarà la prefettura a decidere se e come intervenire.

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