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Cronaca Marghera / Via Colombara, 119

Il viaggio da incubo di un profugo: "Sono morti in tanti attorno a me"

Cento i migranti arrivati in Veneto venerdì. Un nigeriano: "Ero nelle mani di Dio, ci hanno soccorso in mare. Sono qui perché voglio lavorare"

"Ero nelle mani di Dio, è lui che ci ha salvato. Sono morti in tanti su quel barcone". Parole di chi si è visto la morte in faccia. Di chi ha sfidato le forze della natura per arrivare sulle coste italiane spinto dalla disperazione. In lui, nei suoi occhi, c'è solo stanchezza. Niente più. Inconsapevole dell'enorme macchina che lo Stato italiano ha messo in piedi per gestire un'emergenza che si fa di giorno in giorno più pressante.

A parlare è uno dei cento profughi, in parte nigeriani, arrivati nel primo pomeriggio di venerdì nel parcheggio della Metro a Marghera dal centro di prima accoglienza di Trapani. E' quello il punto di smistamento scelto dalle autorità per gestire l'arrivo dei migranti che mano a mano dal ministero dell'Interno vengono assegnati al Veneto. Diecimila negli ultimi giorni le persone soccorse al largo delle coste siciliane: a breve termine dunque nella nostra regione arriveranno 700 profughi. Che non si sa letteralmente dove mettere. "Stiamo raschiando il barile", commenta un addetto a denti stretti.

Fatto sta che tutto questo loro, quei cento giovani (ma tra loro anche donne e bambini) che hanno lasciato l'Africa per disperazione, non lo sanno. Si guardano attorno spaesati, finiti in un enorme parcheggio. Non capiscono, abbassano gli occhi e aspettano istruzioni. Mentre i bambini giocano un po' intimoriti. Sono in fila, silenziosi. Una bottiglia d'acqua in mano e un braccialetto bianco con un numero per identificarli: "Dio ha voluto che mi salvassi - racconta uno dei profughi nigeriani, che poi sarà assegnato alla provincia di Padova - sono morti in tanti. Ci hanno salvato mentre eravamo in balìa del mare".

L'arrivo di cento profughi in Veneto venerdì

Un viaggio che non può che lasciare cicatrici, se non altro per la consapevolezza che la morte era una presenza costante durante il viaggio della speranza: "Non ce l'hanno fatta per la fame, per la sete. Non so nemmeno io - continua - siamo partiti da Tripoli, in Libia. Non mi ricordo nemmeno quanti giorni fa. Ero nelle mani di Dio, ero nelle mani di Dio". Ventuno di quei cento migranti sono rimasti in provincia di Venezia, gli altri invece sono stati suddivisi tra il Padovano (19), il Trevigiano (25), il Rodigino (3), il Veronese (17), il Vicentino (15).

La pima fila di nigeriani è tutta di cristiani. A un certo punto si avvicina il giovane subito dietro in fila, che ha udito la conversazione: "E' stato un viaggio terribile - racconta - ora siamo felici di essere in Italia. Grazie. Non sappiamo dove andare". Dopodiché un unica parola, ripetuta più volte all'unisono: "Work, work". "Noi vogliamo lavorare e basta, non vogliamo altro", concudono. Alla fine salgono sull'autobus, guardandosi intorno smarriti. "E' stato terribile - ribadisce l'ultimo giovane a parlare - siamo contenti di essere in Italia".

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