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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Venezia muore di merci tarocche? A produrre le scarpe sono italiani

Nel Miranese la Finanza ha sequestrato due laboratori, uno sconosciuto al Fisco, dove uscivano prodotti dai brand più famosi destinati in laguna

Sembravano in tutto e per tutto scarpe di marca. Marchi famosi, di quelli che fanno girare la testa alle donne: Chanel, Gucci, Louis Vuitton. Peccato che il prezzo cui venivano vendute non fosse precisamente quello solito. Cinquanta euro al paio circa, nessuno scontrino e tutti felici. Il venditore abusivo in azione a Venezia e la turista che potrà sfoggiare, spacciandole per vere, le sue nuove calzature.

A essere meno contenti sono i contribuenti, visto che si alimenta un mercato illegale che toglie lavoro "pulito" e che in più si tiene alla larga dal Fisco, a differenza dei concorrenti onesti. Un circolo vizioso cui hanno tentato di mettere i bastoni tra le ruote gli agenti del I gruppo di Venezia della guardia di finanza, che nei giorni scorsi hanno sequestrato due opifici nel Miranese. Hanno risalito via via la piramide illegale, partendo dalla "base" (un sequestro di merce contraffatta in laguna) per poi arrivare alla cima: dove materialmente quelle scarpe venivano prodotte.

Naturalmente nel mezzo ci sono stati una serie di accertamenti "tradizionali", tra pedinamenti e appostamenti anche in borghese. Finché non si è arrivati in terraferma, individuando con ogni probabilità prima il magazzino dove veniva stoccata la merce illegale e poi dove la merce veniva confezionata. Una delle novità sta anche nel fatto che in questo caso i laboratori requisiti non erano gestiti da cinesi, bensì da due italianissimi artigiani di età tra i cinquanta e i sessant'anni che lavoravano anche in maniera "ufficiale" come contoterzisti per altre industrie del distretto calzaturiero. Di commesse ne avevano, e tante. Ma avevano scelto di prestare il fianco anche alla costola illegale del settore. In un capannone veniva progettato il prodotto, nell'altro veniva assemblato e confezionato. Con tanto di scritta sulla suola "made in Italy".

All'interno degli opifici, uno dei quali completamente sconosciuto al fisco, macchinari costosi. E nel caso del laboratorio "fantasma" anche operai in nero (in parte era a conduzione familiare). Il tutto nello spregio delle più elementari norme di sicurezza. Al termine delle operazioni, oltre al sequestro, i due artigiani sono stati denunciati per produzione di merce contraffatta. Ma il peggio, forse, per loro deve ancora arrivare: nelle prossime settimane saranno eseguiti accertamenti fiscali che potrebbero rivelarsi "sanguinosi". E in più si cercherà di capire quali siano stati i fornitori di pelle contraffatta, in modo da salire ulteriormente di livello.

L'INTERVENTO E IL SEQUESTRO DELLA GUARDIA DI FINANZA

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