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Cronaca

Come lavorava Jackson Pollock? Una "task force" sta per scoprirlo

Un gruppo di lavoro formato da esperti mondiali analizzerà undici dipinti del geniale artista conservati presso la Collezione Peggy Guggenheim

C'é dello smalto tra i materiali usati da Jackson Pollock per realizzare “Alchimia” nel '47, vero punto di svolta nella storia dell'intera arte del XX secolo? La domanda è al momento senza risposta, tanto che nel catalogo della Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia, accanto al termine c'é un punto interrogativo. Tra qualche mese questo e altri quesiti sul lavoro di una delle icone del '900, le cui opere valgono decine di milioni di dollari, troveranno probabile risposta dagli esiti del lavoro della “task force” che dalla prossima settimana sottoporrà a indagine scientifica gli undici dipinti - dieci su tela, tra cui “Alchimia”, e uno su carta - di proprietà della collezione creata dalla mecenate statunitense.

IL GENIO - Peggy Guggenheim fu la scopritrice del talento di un artista giunto negli anni '30 a New York dal lontano Wyoming, con una tappa a Los Angeles per studiare pittura, organizzandogli nel '43 la prima mostra e stipulando con lui un “contratto” fino al '47 che gli permise di dedicarsi solo all'arte. Per lei, il sostegno dato a Pollock fu sempre ritenuto il traguardo più alto delle sua carriera di gallerista e collezionista. È la prima volta al mondo che un corpus così ampio di opere di Pollock diviene oggetto di una ricerca tesa a capire il loro “stato di salute” al fine eventuale di un possibile intervento conservativo. In campo c'é una equipé di 25 persone per dare vita a quello che Luciano Pensabene Buemi, conservatore della Collezione Peggy Guggenheim, definisce "un momento storico. Mai c'é stato un progetto così importante per un artista internazionale presente in Italia". Un “gruppo di lavoro” che vede unire il privato - la Peggy Guggenheim, Getty Conservation Institute di Los Angeles, Solomon R. Guggenheim Museum di New York, Seattle Art Museum - con i top del restauro e ricerca italiane, come l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, l'Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari dell'Istituto Nazionale di Ottica del Cnr, il centro Smaart di Perugia.

I COMMENTI - "Sono opere - spiega Pensabene Buemi - del cuore di Peggy, che ha voluto tenere con sé, mentre altre le ha regalate a diversi musei. Dipinti che coprono un periodo cruciale dell'attività di Pollock, dal '42 al '47, momento di passaggio verso il dripping (sgocciolamento), che non sono mai state analizzare sul piano scientifico e mai sottoposte a restauro". "L'analisi tecnica di un dipinto - rileva Philip Rylands, direttore della Collezione - apre sempre delle novità sul lavoro di un artista, sulle sue intenzioni". Ma Ryland evidenzia anche il valore di un progetto che mette assieme realtà diverse allo scopo di dare risposte alle tante domande ancora parzialmente irrisolte attorno ai quadri del maestro del dripping; questioni legate alla tecnica usata, ai materiali, alla stessa unità compositiva. "I tempi - rileva Rylands - erano maturi per questa unione di forze". "Questa operazione - gli fa eco Pensabene Buemi - è possibile perché siamo in Italia dove ci sono strutture pubbliche che fanno ricerca pura". La presenza dell'Opificio delle Pietre Dure è tra gli emblemi di questa capacità del pubblico di essere a livello mondiale: "da parte mia - dice il sovrintendente Marco Ciatti - c'é la volontà precisa di aprire l'Opificio verso l'arte moderna e contemporanea. Settori dove in passato abbiamo operato poco, ma i tempi cambiano" e ricorda, a tale proposito, la quantità di problematiche conservative che pone l'arte di oggi a differenza dei secoli passati dove "era fatta per durare". "Il restauro del contemporaneo - sottolinea - "sarà un problema gigantesco e noi dobbiamo aprirci a questo settore". "Le strutture che ci sono in Italia - dice - sono tra le migliori al mondo". Tra qualche giorno, intanto, la sala della Guggenheim sul Canal Grande dove sono raccolti alcuni capolavori dell'artista morto in un incidente stradale nel '56 sarà trasformata in una sala analisi con al lavoro anche i tecnici del laboratorio mobile Molab, l'unico esistente in Europa. "I visitatori - spiega Costanza Miliani, coordinatrice del Molab - potranno vederci al lavoro. Noi operiamo con varie tipologie di luce e attraverso diverse interazioni con la superficie delle opere. Un sistema non invasivo. Di solito ci fanno domande sul tipo di lavoro in corso".

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