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Cronaca

Dall'inchiesta "At last" al caso Safond: una spy story alla veneta

A margine del processo ai casalesi radicati sul litorale veneziano emerge un singolare filo rosso che lega una donna bassanese, una rapina in villa avvenuta nel Trevigiano, un'affaire ambientale che ha squassato il Vicentino e un consulente padovano già attivo «nella intelligence Nato» che denuncia un tentativo di intrusione nella sua abitazione

Mentre in queste ore la stampa regionale dà ampio risalto ai dettagli del processo alla "costola dei casalesi" che da anni si è radicata nell'Est veneziano, proprio dal processo che si tiene nell'aula bunker di Mestre emergono alcuni dettagli precisi rispetto alla rapina della quale nel 2015 fu vittima l'imprenditore vicentino Rino Dalle Rive. Ne scrive Marco Milioni su VicenzaToday: l'azione criminale, sulla quale appunto si sarebbe avvertita pesante la mano della mafia campana, non andò a bersaglio giacché venne sventata «da cinquanta agenti della polizia» che a conoscenza dei piani dei malviventi presidiarono la villa di Dalle Rive a Castelcucco nel Trevigiano. Tuttavia tra i mille rivoli della vicenda ce n'è uno, che si è materializzato oggi, 25 luglio, che porta dritto all'affaire Safond di cui Dalle Rive, sino alla morte del manager avvenuta nel 2019 a 74 anni, fu patron indiscusso.

L'antefatto e il dibattimento

Luciano Donadio, numero uno dell'omonimo clan del litorale veneziano secondo l'accusa, seguì dal suo ufficio ad Eraclea «assieme al nipote Antonio Puoti, le fasi della rapina che uno dei suoi uomini, Giacomo Fabozzi, assieme a due complici marocchini», stava per mettere a segno «il 27 marzo del 2015 in una lussuosa villa di Castellucco... ai danni dell'imprenditore... Rino Dalle Rive, titolare della Safond Martini di Montecchio Precalcino» nell'Alto vicentino. «La circostanza è stata riferita» il 22 luglio «nell'aula bunker di Mestre dall'ispettore Carlo Dominici, uno dei poliziotti che che fece fallire il colpo aspettando i malviventi all'interno della abitazione». Per quella rapina «sono stati condannati gli autori materiali e ora sotto processo ci sono Luciano Donadio, Puoti e altre quattro persone fra cui il presunto basista... la guardia giurata trevigiana Giuseppe Daniel, accusata di avere fornito alla banda le indicazioni sul contenuto della villa, grazie anche ad una relazione... intrattenuta con la convivente dell'imprenditore» poi scomparso due anni fa. «Il poliziotto ha raccontato di come, grazie alle intercettazioni attivate dalla procura di Venezia per seguire le attività del presunto boss dei casalesi, gli investigatori vennero a conoscenza del piano criminale». Questo almeno è il resoconto della udienza del dibattimento andato in scena a Mestre il 22 luglio così come lo riporta su Il Gazzettino nella sezione veneziana in pagina 19 Gianluca Amadori in un servizio del 23 luglio.

Verità storica e atti sociali

Sul piano della verità storica la testimonianza fornita in aula è importante perché se nel 2015 i media parlarono di una rapina in qualche modo attribuibile alla malavita straniera, la realtà processuale è ben diversa. E descrive una azione da codice penale in cui le menti sarebbero tutt'altro che straniere ma italianissime e riferibili alla malavita organizzata campana da tempo radicata nel Veneto: una malavita che può contare su solide collaborazioni visto che è trevigiana la guardia giurata che secondo l'accusa, avrebbe innescato il tentativo di rapina. La cosa è importante sul piano della dinamica sociale perché nel 2015 quando si seppe della rapina poi fatta fallire i commenti, specie sui social network nei confronti degli illeciti commessi dagli stranieri tennero banco per giorni. Oggigiorno però gli atti e le testimonianze restituiscono una serie di accadimenti  di ben altro tenore.

Una vicenda ricca di anfratti

Ma come in un giallo degno della penna di Massimo Carlotto, dagli anfratti più reconditi del fu mitico Nordest emerge un'altra storia che si lega in qualche modo a quella che è in scena a Mestre. La ex convivente di Dalle Rive, la donna della quale il presunto basista Daniél si sarebbe servito per avere informazioni sulla dimora di Dalle Rive, è M.V.. Che la identità sia la sua lo si apprende da una denuncia, dai contorni ancora da chiarire, che la stessa deposita il 15 luglio 2019 al comando provinciale della Guardia di finanza di Vicenza. In quel documento la donna spiega di avere avuto col Daniel una relazione sentimentale dal 2014 al 2018. Di più, nella medesima denuncia M.V. sostiene che Daniel avrebbe raccontato, affinché ne fosse data notizia agli inquirenti, che in passato nell'abitazione del presunto basista si sarebbero introdotti alcuni «uomini incappucciati ed armati di pistola» che con accento meridionale avrebbero minacciato lo stesso Daniel.

Motivo della minaccia? Convincerlo per le spicce affinché quest'ultimo non rivelasse agli incaricati dall'autorità preposta che glielo avessero eventualmente domandato i rapporti tra «il mio ex compagno Rino Dalle Rive» e il consulente padovano «Riccardo Sindoca». Stando alla denuncia di M.V., che nello stesso documento dichiara di sentirsi minacciata da quelle persone, si precisa altresì che le visite degli incappucciati si sarebbero ripetute per ben diciannove volte, tutte con data certa, tra l'ottobre 2018 e il luglio 2019.

Il giallo si infittisce

In uno o più episodi, sempre stando alla denuncia raccolta dai marescialli della GdF Venerando Basile e Melissa Romanzi, Daniel, secondo la denunciante, sostiene anche di essere stato picchiato dalle persone col volto travisato. Tanto che il presunto basista si sarebbe dovuto recare almeno in due circostanze presso l'ospedale di Jesolo «per farsi medicare».

E ancora nella denuncia depositata alla Guardia di finanza berica viene scritto, in modo un po' fumoso per vero, che a Daniel sarebbero stati offerti prima «50mila euro», poi «100mila euro» e poi addirittura «200mila euro», «per andare lui stesso alla Guardia di finanza e dire che io gli ho raccontato una versione diversa dai fatti rispetto a quella che io vi ho detto in modo da screditare me ai vostri occhi». In ultimo, ma non da ultimo, sempre de relato la M.V. fornisce anche alcuni numeri di targa riferibili alle vetture degli asseriti aggressori.   

Un nome di peso

Ora il nome di Sindoca, che vive a Villa del Conte nel Padovano, non è un nome qualsiasi perché quest'ultimo, «già membro di un servizio informativo della Nato» è legato a doppio filo all'affaire Safond Martini. Ossia a quello scandalo ambientale che ha pure portato la Safond in una situazione economica critica. Situazione critica che per Dalle Rive e suoi aficionados è in parte ascrivibile ai raggiri e alle minacce dello stesso Sindoca. 

Quest'ultimo invece, il quale respinge seccamente al mittente le accuse e che ha proceduto in tal senso con una sequela infinita di contro-denunce, sostiene che la persona offesa sia proprio lui giacché Safond non gli avrebbe mai pagato un onorario di oltre cinque milioni di euro per una maxi consulenza in materia di recupero crediti. Di più, da tempo Sindoca, carte alla mano inviate alla procura berica e alla Regione Veneto, sostiene di essere stata la prima ed unica persona che abbia segnalato come si deve e a chi di dovere lo stato di decozione ambientale in cui versava la Safond: una ditta che rigenera sabbie di fonderia e sulla quale era intervenuto un clamoroso sequestro giudiziario che da mesi scatena parecchie polemiche.

Gli sviluppi

Ovviamente i finanzieri vicentini di fronte a quella congerie di notizie dal profilo penale potenzialmente rilevante, notizie che mettevano in qualche modo in connessione l'operazione Eraclea At Last con il caso Safond Martini e con tutti i suoi cascami anche ambientali, si sono dovuti muovere. E lo hanno fatto dopo essersi coordinati con l'autorità giudiziaria della città palladiana.

Ma che cosa hanno scoperto le fiamme gialle? Dalla annotazione di polizia giudiziaria del 19 luglio 2019 con protocollo 274686 in riferimento al procedimento penale 1502/18 (annotazione indirizzata ai sostituti berici Cristina Carunchio e Hans Roderich Blattner), emerge un riscontro investigativo eclatante che si basa su due elementi chiave. Uno, i controlli sui varchi elettronici in grado di rilevare le targhe nel percorso che porta verso la abitazione di Daniel hanno avuto esito negativo: almeno con le targhe fornite dalla M.V.. Questo è quanto riferiscono per l'appunto i vigili urbani di Eraclea. Due, dai referti medici inviati dal nosocomio iesolano alle fiamme gialle risulta che sia sì vero che Daniel si sia recato per due volte in quella struttura, «ma mai per fatti riconducibili a percosse subite come dichiarato dalla denunciante».

La faccenda si ingarbuglia

Così però l'intera vicenda si ingarbuglia perché troppe sono le domande che nascono spontanee a questo punto. Quali sarebbero le vere ragioni per cui M.V. sarebbe andata a depositare la sua denuncia alla GdF di Vicenza? Perché Sindoca sarebbe stato oggetto delle preoccupazioni di alcuni malviventi tanto da spingerli a minacciare un uomo come Daniel, finito mani e piedi in una inchiesta con accuse tanto pesanti a carico, a non rivelare il fatto che Sindoca e Dalle Rive si conoscessero, visto che tale conoscenza era già nota agli inquirenti? Infatti l'esposto firmato Sindoca sulle condizioni ambientali della Safond risale al dicembre del 2017, ossia un anno prima delle asserite visite degli incappucciati a casa del presunto basista di origine trevigiana. E poi, eventuali contraddizioni contenute nella denuncia di M.V. hanno avuto conseguenze penali per la stessa donna?

Ma come la pensa a tal proposito la M.V.? Chi scrive la ha contattata direttamente ma quest'ultima ai taccuini di Vicenzatoday.it ha precisato di «non avere memoria» di alcuna denuncia depositata alla Guardia di Finanza. M.V. peraltro nel comprensorio della città del ponte è un nome noto perché da tempo fa parte del direttivo della associazione «Il tuo sentiero». Una associazione che punta su quattro aree di interesse ossia quella «creativa», quella «fisica», quella «psicologica» e quella «spirituale». Il circolo in una sorta di percorso neo-esoterico di memoria steineriana propone corsi di «meditazione attivazione al campo del cuore», «trasformazione quantica nella pratica» e di accesso «all'Akasha per riattivare talenti e maestrie».

L'assalto a casa Sindoca

Di fronte a questa girandola di notizie e soprattutto dopo quanto uscito dall'aula bunker di Mestre è Sindoca a dire la sua e a puntare il dito anche contro la magistratura. «Sono basito ed attonito - spiega il padovano ai taccuini di Vicenzatoday.it - posto che mentre l'autorità giudiziaria mi perseguiva, pur essendo io incensurato, un membro attiguo alla camorra, almeno per come io abbia potuto apprendere dai media, si occupava del sottoscritto». Poi un'altra bordata: «Le istituzioni che sapevano, nulla hanno fatto per tutelare me e la mia famiglia e seppur avessi denunciato un tentativo di intrusione nella abitazione in cui dimoro a Villa del Conte il 10 aprile del 2018 sono stato lasciato alla mercé di questa gente nonostante io abbia una moglie ed un figlio di soli sei anni. Sono stato lasciato solo - attacca Sindoca - dalle istituzioni che tutto sapevano».

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