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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia Marghera / Porto Marghera

Eni pota i "rami secchi", il nuovo ad lascia nel limbo Porto Marghera

Claudio Descalzi punta a sfrondare i settori meno produttivi, come raffineria e cracking: a rischio i piani per il riavvio dell'impianto lagunare

Cambia l'oste e cambia anche il vino, ma le novità non sembrano essere apprezzate da chi nella locanda ci lavora: dopo la nomina di Claudio Descalzi a nuovo amministratore delegato di Eni, d'altronde, dietrofront e variazioni di rotta sembrano essere all'ordine del giorno, specie rispetto ai piani siglati dal suo predecessore, ma questa volta il giro di timone sta facendo tremare i polsi degli operai delle raffinerie di Gela, Taranto, Livorno, del petrolchimico di Priolo e, ovviamente, di Porto Marghera, dove la seconda fase di “riavvio” degli impianti risulta ora a rischio, spaventando i circa 600 dipendenti ancora in forza alla struttura. I sindacati, come riporta la Nuova Venezia, non intendono però stare a guardare e già si preparano le prime iniziative di protesta.

DOMANDA E OFFERTA – Il nuovo piano aziendale messo a punto da Descalzi è tanto semplice quanto freddo: ci sono settori in perdita nel ventre del “cane a sei zampe”, primo tra tutti è proprio quello della raffinazione di petrolio e virginafta, che vede ormai una saturazione totale del mercato mondiale con un surplus di offerta pari a circa 120 milioni di tonnellate di raffinato rispetto alla domanda. Una cifra che pare inverosimile, e che non consente margini di guadagno adeguati dato che in un simile quadro i prezzi di vendita precipitano. Descalzi, diventato famoso già prima della nomina a dirigente per essere il manager “giardiniere” specializzato nel potare i rami secchi, vorrebbe quindi lasciare la totale continuità operativa al solo impianto di Sannazzaro (in provincia di Pavia), affiancato da quello di Milazzo al 50%. Per il resto il nuovo ad Eni punta a far confluire la produzione e raffinazione di prodotti petroliferi e le società Versalis e Syndial in unica attività, mentre le funzioni di servizio al business dovrebbero venire definitivamente centralizzate, tutto a beneficio dell'efficenza organizzativa e produttiva.

GUERRA APERTA – Sulla strada del progetto di Descalzi, però, si trovano due ostacoli: gli accordi firmati dal suo predecessore, Paolo Scaroni, e i sindacati inferociti, pronti ad impugnare proprio i piani del vecchio ad per contrastare la riorganizzazione voluta dal nuovo. Scaroni aveva infatti promesso di salvare la raffineria di petrolio veneziana e due terzi dei posti di lavoro, riconvertendola alla produzione di olio vegetale da miscelare con il diesel, operazione già avviata con un investimento di ben 100 milioni di euro; anche l'impianto del cracking avrebbe dovuto venire “salvato”, con garanzia della continuità produttiva, e al complesso lagunare sarebbe poi stato aggiunto un impianto di “chimica verde” integrato per produrre bio-lubrificanti utilizzando il brevetto di una multinazionale statunitense. Ora però queste promesse sembrano destinate a sciogliersi come neve al sole. Mercoledì a Roma i segretari generali dei chimici di Femca Cisl, Filctem Cgil e Uiltec Uil hanno incontrato Descalzi e, anche se le parole scambiate intorno al tavolo non sono trapelate, alla fine del vertice a Gela, Priolo, Brindisi, Taranto e Livorno sono scoppiate le prime proteste, mentre i sindacati hanno indetto per il prossimo 18 luglio un coordinamento nazionale dei delegati di tutte le società dell’Eni per stabilire come procedere tra scioperi e agitazioni. I rappresentanti dei lavoratori chiedono “un tavolo alla presidenza del Consiglio sulla politica industriale di Eni per riconfermare tutte le intese sottoscritte e per fare quegli investimenti utili a rilanciare la chimica e la raffinazione in Italia oltre a puntare sulla green chemistry e sulla green refyning”, ma soprattutto vogliono che i vecchi accordi per Porto Marghera vadano rispettati e che “il protocollo su competitività e sviluppo e sulle nuove relazioni sindacali siglato con Eni nel 2011, deve essere prorogato sino al 2020 per scongiurare eventuali chiusure di impianti e per dare garanzie occupazionali ai lavoratori del gruppo”. “A nessuno – concludono i sindacati - è concesso di giocare con l'affidabilità altrui, tanto meno al dottor Descalzi”.

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