rotate-mobile
Economia

La rabbia degli operatori del settore moda: «Sembra che il Covid lo diffondiamo solo noi»

Confcommercio: «Atri comparti rispettano le regole e sono aperti. Qual è la logica?». Perdite sulle vendite fino al 90% nelle zone turistiche, non si sa chi riaprirà. Settore ambulante: «il più penalizzato tra i penalizzati». I dati Confcommercio

«Il governo ci faccia aprire i negozi o li chiuderemo per sempre». È Giannino Gabriel, presidente di Federazione moda Italia Confcommercio di Venezia Rovig a raccogliere e rilanciare il grido d’allarme degli operatori del settore moda, abbigliamento, calzatura e accessori. «La chiusura per Covid del comparto è inspiegabile perché offriamo il rispetto delle regole come o più che altre attività che invece sono aperte. Ristori? Briciole: c'è bisogno di coprire almeno i costi fissi delle aziende per resistere - afferma, e fa una richiesta ai clienti - aiutateci a resistere, comprate nei vostri negozi sotto casa, nei vostri centri storici, per mantenere accese le vetrine e darci una bella qualità di vita».

I dati

Mediamente in Italia i negozi hanno registrato perdite pari al 27% delle vendite. Secondo Federazione moda Italia Confcommercio, guardando al Veneto e alla provincia di Venezia, sui saldi invernali le vendite di abbigliamento, calzature e accessori registrate a febbraio 2021, rispetto a febbraio 2020 sono scese del 30%, dopo il calo del 44% del mese di gennaio 2021 su gennaio 2020. Un’impresa su quattro (25,2%) ha dichiarato un calo tra il 50 e il 90%. Quasi 8 imprese su 10 (77,5%) hanno dichiarato di aver proposto sconti tra il 30 e il 50%. Oltre tre imprese su dieci (33,8%) hanno praticato sconti medi del 50%. A febbraio, i consumatori hanno continuato a prediligere maglieria, tute, pigiami, intimo e pantofole mentre, in sofferenza risultano cravatte, abiti da uomo e valige. L'indagine, infatti, evidenzia tra i prodotti più venduti: la maglieria (49,0%), giubbotti, cappotti e piumini (38,8%); pantaloni (32,3%); jeans (32,3%); abiti donna (19,8%); scarpe donna (18,6%); borse (16,3%); accessori (14,8%); sneackers (12,5%); tute (12,5%); intimo (12,2%). In sofferenza le vendite di abiti da uomo (4,2%) e valige (1,1%).

I pagamenti preferiti sono quelli con pagobancomat (82,5% delle preferenze multiple); seguono quelli con carta di credito (58,2%), mentre l’utilizzo dei contanti (7,6%) è una scelta residuale soprattutto per le spese di importo basso. I saldi e le promozioni libere in Veneto sicuramente hanno aiutato i commercianti a vendere di più, ma a prezzi estremamente bassi per non accumulare nuove rimanenze. Le perdite di incassi vanno dal 30% dove è andata bene per arrivare al 90% nelle zone turistiche totalmente svuotate come Venezia. 

I distretti

E alle saracinesche abbassate per la zona rossa si aggiungono quelle che forse non riusciranno più a riaprire. Nel Miranese gridano aiuto marchi come Cappelletto, Barca, Corò e Kartika, e per Confcommercio lo stop «è senza senso, poiché i rischi sono gli stessi di altre attività che però sono aperte». Spiega il presidente di Confcommercio del Miranese, Ennio Gallo: «È assurdo che settori così importanti vengano fermati. Si finisce per mettere in difficoltà il made in Italy in un momento in cui le vendite di primavera solitamente decollano e si comincia già a pensare al campionario autunno-inverno». «Sono coinvolti pochi negozi – dice la direttrice dell’associazione Tiziana Molinari – e i titolari si rivolgono a noi chiedendo perché molti punti vendita lavorino. Oggi si possono acquistare profumi, detersivi, fiori, alimentari. Solo chi opera nella moda è penalizzato». Serrande abbassate, capi primaverili invenduti nel clou della stagione, campionario in stand-by. E poi c’è il settore ambulante, più penalizzato tra i penalizzati: nei mercati infatti gli ultimi decreti hanno fatto piazza pulita di tutti i banchi non alimentari o non agricoli.

I titolari

Paolo Cappelletto, che ha un negozio di calzature in centro a Noale, oltre che a Castelfranco Veneto (Treviso), si chiede quale sia il rischio nel tenere aperta una bottega di scarpe: «Qualcuno ha mai visto code o assembramenti in questi negozi? Entreranno in media 10 clienti l’ora. Questo tipo di attività – spiega Cappelletto – vive sulla programmazione a medio termine: gli ordini di oggi sono stati programmati 8-10 mesi fa e la merce presa allora oggi è in scaffale». Da Scorzè, Maurizio Sabadin, titolare di un negozio e di un’agenzia di rappresentanza di moda, sottolinea l’aspetto stagionale, che mette a terra ogni speranza di ripresa. «Chiudere per l’ennesima volta è inconcepibile». In centro a Maerne, Lionello Corò parla di protesta muta: «nessuno sembra ascoltarci: a Natale abbiamo gridato, a Pasqua siamo di nuovo chiusi. Solo i clienti cominciano ad accorgersi della stranezza di una piazza aperta, a parte chi tratta moda, calzature e parrucchieri». «Stavamo rilanciando la nostra attività – spiegano i titolari di un'azienda di Scorzè, i fratelli Marco e Francesco Pellizzon – con l’apertura di nuovi punti vendita a Roma, Rimini, Milano e Bologna, e ci hanno fermato sul più bello. Restiamo fiduciosi che almeno dopo Pasqua si possa ripartire».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

La rabbia degli operatori del settore moda: «Sembra che il Covid lo diffondiamo solo noi»

VeneziaToday è in caricamento