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A Venezia arriva "Bones and All", il film di Guadagnino che racconta una storia d'amore cannibale

"Bones and All", interpretato da Taylor Russell e Timothée Chalamet, possiede ciò che a molte produzioni contemporanee manca: un’identità. Disturba e incuriosisce allo stesso tempo grazie a una regia magistrale e a una sceneggiatura solida

Bones and All sorprende sin dalle primissime scene e si presenta subito per quello che è, senza risparmiarsi in alcun modo: un film crudo ma sincero, capace di unire violenza e amore, ferocia e dolcezza. 

È difficile recensire l’ultimo lavoro di Luca Guadagnino – che torna in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia dopo aver partecipato nel 2015 con A Bigger Splash e nel 2018 con Suspiria – senza scadere nella banalità. Il regista palermitano raccoglie le atmosfere inquietanti del remake di Dario Argento e costruisce un horror ante litteram: Bones and All inizia infatti come un film dell’orrore, prosegue come un road movie, si sviluppa quindi nel genere sentimentale e, infine, termina come un thriller con venature drammatiche. 

Basata sull’omonimo romanzo di Camille DeAngelis, l’opera racconta il viaggio intrapreso da due giovani disadattati attraverso gli Stati Uniti d’America. Ad accomunarli una condizione tanto ripugnante quanto sorprendente: un feroce appetito che travalica ogni limite sociale e umano. L’acclamato regista di Chiamami col tuo nome torna a raccontare l’amore, ma dimenticate una volta per tutte le atmosfere sognanti e innocenti perché, in Bones and All, a scorrere sullo schermo è una relazione sentimentale, sì, ma dal retrogusto cannibale.

Paradossalmente, ed è esattamente qui che sta la genialità della vicenda, l’istinto a mangiare carne umana è lo strumento grazie al quale lo spettatore empatizza con i protagonisti. Indubbiamente questa “condizione” risulta ripugnante ma viene altresì rappresentata come una compulsione che i personaggi principali non riescono proprio a controllare: la "fame" diventa così lo stigma che li obbliga a vivere ai margini della società. «Volevo che le persone amassero Maren e Lee, li comprendessero, tifassero per loro e non li giudicassero – ha spiegato infatti Guadagnino –. Il mio desiderio è che il pubblico veda nei protagonisti il riflesso cinematografico di tutte le possibilità che fanno parte di noi in quanto esseri umani». 

Carnefici ma principalmente vittime

“Non mostri, ma esseri umani” sembra essere la dichiarazione d’intenti di Bones and All. Una volontà che viene espressa sin dall’inizio, con estrema violenza ma anche con una sincerità disarmante. Sangue e tenerezza sono i due binari magistralmente intrecciati su cui viaggia l’opera: un equilibrio che potrebbe sembrare precario ma che viene stabilizzato dall’ottima regia di Guadagnino e dalle interpretazione di Taylor Russell e Timothée Chalamet, qui più affiatati che mai. Nota a parte merita la recitazione dell'eccezionale Mark Rylance: solitamente impegnato in ruoli positivi, qui regala un'interpretazione che fa venire i brividi. Letteralmente.

Bones and All possiede ciò che a molte produzioni manca: un’identità. Disturba e incuriosisce allo stesso tempo. Ripugna e attrae morbosamente lo spettatore crogiolandosi su una sceneggiatura solida e su una fotografia maestosa. 

Pulp a tratti splatter e inquietante: credo che il film non vincerà il Leone D’Oro e dividerà enormemente il pubblico. Tagliente e controverso, ci sarà sicuramente chi uscirà dalla sala cinematografica disgustato. Molti altri, invece, lo ameranno incondizionatamente. Con ogni probabilità tra qualche anno diventerà un cult. 

Voto: 8  

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