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Giambattista Colucci alla Galleria Bonan

Il Dott. GIAMBATTISTA COLUCCIespone le sue opere dal 3 al 12 Febbraio 2018alla Galleria Bonan Studio d'Arte Due a Venezia Santa CroceTutti i giorni dalle 16 alle 19 ingresso gratuito (festivi e lunedì chiuso)

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di VeneziaToday

Riceviamo e pubblichiamo:

"L'artista GIAMBATTISTA COLUCCI espone le sue opere dal 3 al 12 Febbraio 2018 alla Galleria Bonan Studio d'Arte Due a Venezia Santa Croce Tutti i giorni dalle 16 alle 19 - ingresso gratuito (festivi e lunedì chiuso) BIOGRAFIA Di origini pugliesi, Giambattista Colucci nasce a Martina Franca (Ta) nel 1933. Laureato in medicina e chirurgia a Milano, internista,specialista in diabetologia e in malattie del Ricambio, è dirigente di primo livello in medicina generale per quarant’anni presso il Policlinico di Milano. La sua professione di medico e specialista lo conduce casualmente alla conoscenza di persone del mondo dell’arte. Nel 1959 conosce Fiorenzo Tomea, suo paziente ricoverato alla clinica Columbus di Milano, col quale passa intere serate a discutere di arte. Dal 1962 al 1968 un suo concittadino, suo paziente e pittore dilettante, lo porta alla conoscenza e alla frequentazione di artisti quali Arnaldo Carpanetti, Giuseppe Migneco, Giuseppe Motti, Rodolfo D’Accardi e tanti altri, già noti nel panorama artistico italiano. Entra in contatto così con le opere di Carpanetti, Arturo Vermi, Gianni Dova, Remo Brindisi, Roberto Crippa, Giuseppe Morlotti, De Pisis, Pellini. Qualche anno più tardi, nei primi anni sessanta, un altro paziente, grande magnate e sostenitore dell’arte del suo tempo, gli presenta opere di alcuni artisti già riconosciuti, quali Manzoni, Nino Caffè, Scanavino, Minguzzi, che contribuiscono ad allargare gli orizzonti della sua conoscenza artistica. Proprio loro forniranno al dottor Colucci le chiavi per interpretare l’arte moderna e per avvicinarsi alla poetica di alcuni grandi artisti italiani del dopoguerra. Ma la vera svolta della sua “passione artistica” arriva con la frequentazione, prima come medico, poi come fraterno amico, di Remo Bianco. Con lui partecipa a molti eventi culturali e artistici e conosce personalmente artisti del calibro di Giorgio de Chirico, Hains, Lucio Fontana. Con loro qualche volta passa la serata a cena constatando l’immensa stima che questi provano dei confronti dell’amico Remo Bianco, al quale Fontana una sera dedica un poesia. Così nutrito dal genio del caro amico e dall’arte informale degli amici comuni, il dottore, tolto il camice, indossa solo per suo piacere, i panni di un artista che non vuole mai definirsi tale, per umiltà e rispetto del proprio concetto dell’arte. Ed è per questa ragione che rifiuta ogni invito a esibire il suo personale lavoro. Qualche anno dopo la morte dell’ amico Remo Bianco, inizia con l’assemblaggio di tesserine dorate, ispirato dai famosi “Tableaux Dorè” di Remo. Successivamente passa alla plastica e al ferro, ai materiali elettromedicali di scarto, a tutto quello che non ha più uso, ma che nei suoi occhi diviene pretesto di un nuovo spazio in cui esprimere se stesso. Nascono così quelle che lui chiama “Composizioni visive”. CRITICA Protagonisti delle opere di Giambattista Colucci sono materiali di scarto di varia origine e natura, accomunati dal fatto di avere concluso il loro ciclo produttivo. Elementi provenienti da diversi settori (industriale, meccanico, ospedaliero, e quindi ferro, plastica, ma anche cavi di apparecchiature elettromedicali) che, avendo esaurito il loro compito originario, sembrano avere perso utilità e valore, nelle mani di Colucci riprendono vita diventando oggetti da esibire, ammirare, studiare. Eppure Colucci, rinomato medico con oltre quarant’anni di esperienza, rifiuta da sempre di definirsi un artista e per anni ha tenuto celate le sue opere. Le sue composizioni visive sono nate dalla passione, dall’irrefrenabile esigenza interiore di rendere utile l’inutile, restituendo valore al senza valore. Ma cosa può realmente essere definito un’opera d’arte? “Je crois en l’artiste, l’art est un mirage” diceva Marcel Duchamp. E cos’è un artista se non chi fa nel migliore dei modi quello che sa fare, ogni giorno, qualsiasi cosa faccia? E chi più di un medico lo è quando in pochi minuti salva una vita o la migliora o la trasforma? Quale pennello è migliore della sua mano, strumento straordinario che concorre a creare, aggiustare, migliorare la perfezione del corpo umano? Colucci sa che un lavoro fatto bene è così prezioso che pure i suoi scarti lo sono e per questo, dopo avere assolto il loro compito originario, possono rinascere a nuova vita. Perché la bellezza, la perfezione, l’unicità, caratteri che da sempre definiscono un’opera d’arte, stanno anche negli oggetti quotidiani che consentono di vivere la vita che vogliamo, come la desideriamo. È grande la tentazione di definire le composizioni visive di Giambattista Colucci dei ready-made del ventunesimo secolo, ma esse si differenziano dalle provocazioni duchampiane perché, anziché dissacrare la materia, la celebrano in ogni sua sfaccettatura. L’opera d’arte non è una realtà a sé, staccata dalla quotidianità, ma la realtà stessa. E una cosa può essere così utile e perfetta da essere bella così com’è, nella sua essenza originaria".

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