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La moda racconta la Scuola Grande San Giovanni Evangelista: gli abiti di 7 secoli

Dal vestito di un crociato, che ricorda la fondazione nel 1261, fino al '900. I costumi raccontano la Serenissima in una nuova chiave di lettura ideata e realizzata da Francesco Briggi, sarto

La moda racconta la storia. Gli abiti narrano anche le vicende della Scuola Grande San Giovanni Evangelista di Venezia, attraverso l’esposizione “Storie di moda”, ideata e realizzata da Francesco Briggi, sarto e costumista. La mostra resterà aperta fino al 6 gennaio.

Il ritorno degli abiti

Dopo un anno passato fra gli appartamenti privati di Palazzo Nani Bernardo, gli abiti dell’Atelier Pietro Longhi tornano ospiti dell’ente cittadino che per primo riconobbe il valore formativo e culturale della moda. Già nel 2005 l’intero corteo dogale trovò spazio nel Salone San Giovanni e oggi, in una sala recentemente restaurata e aperta al grande pubblico, la moda racconterà la storia della Scuola Grande San Giovanni Evangelista. Diciotto manichini rappresenteranno i passaggi storici più significativi della Scuola, la cui storia è strettamente connessa a quella della città di Venezia.

Sette secoli

Si sarà accolti da un manichino che indossa l’abito di un crociato, a ricordare la fondazione della Scuola avvenuta nel 1261, e a seguire da una dama del 1300, periodo in cui Venezia getta le basi del proprio impero economico e nel quale la Scuola acquisisce la preziosa Reliquia della Vera Croce (donata nel 1369 dal cavaliere francese Philippe de Mezières). Dal Medioevo dunque si passa al Rinascimento, quando Gentile Bellini rappresenta in un suo dipinto, la Regina Caterina Cornaro che assiste a uno dei miracoli della Vera Croce. Al centro del grande telero del 1500, il reliquiario che ancora oggi si può ammirare nell’Oratorio della Croce, a pochi metri dall’esibizione, visibile nel percorso museale completo di visita all’intero complesso monumentale della Scuola. Due manichini dunque, uno che riproduce l’abito indossato dalla Regina Cornaro, e uno di foggia maschile, riassumono il modo particolare di vestire dei giovani veneziani, che abbandonarono gabardine e gonnellini per sfoggiare calzabrache e farsetti.

I protagonisti

Numerosi gli architetti, scultori e artisti che lavorarono presso la Scuola. Solo per citarne alcuni: Mauro Codussi, i fratelli Lombardo, Andrea Michieli, Palma il Giovane, Tiziano. A ricordare e sottolineare il fervore artistico di quel tempo, una riproduzione di un abito raffigurato dal Veronese (la dama col guanto) e un uomo in tipico abito rinascimentale, preso sempre da un ritratto del Veronese, realizzato in velluto nero, il tipico colore degli artisti e degli uomini dotti del Rinascimento. Nella seconda metà del 1600 la relativa serenità della confraternita portò a non avere grandi evoluzioni per l’edificio e questo viene rappresentato dai due abiti la cui  moda è di pesante influenza francese, quasi a mostrare come a Venezia non ci fosse più creazione endemica di arte.

A partire dal 1727 inizia invece il radicale restauro delle strutture murarie del Salone capitolare e una diligentissima cura dei dettagli, sotto la direzione dell’architetto Giorgio Massariri. La luce, caratteristica principale dell’arte del rococò veneziano, fa il suo ingresso dirompente all’interno del salone. Un rialzo di 5 metri progettato dal Massari crea spazio per 12 grandi finestre ovali che illuminano, a fasci, il pavimento in marmi policromi, unicum fra le Scuole grandi veneziane, caratterizzate da saloni tendenzialmente più bui. Esso riprende nella decorazione il complesso impaginato del soffitto, che accoglie grandi tele, fra le quali trovano spazio i colori che hanno reso celebre il barocco veneziano, quelli del Tiepolo. È in questo periodo che nasce la sala che accoglierà la mostra, decorata con un prezioso affresco e numerosi stucchi attribuiti a Jacopo Guarana. 

'800 e '900

Nel 1806, anno rappresentato dal leggero abito in seta rigata da donna, la Schola dovette affrontare uno dei periodi più difficili, poiché pur essendo una confraternita laica, non fu salvata dalla soppressione napoleonica. Le preziose opere del Bellini e del Carpaccio furono demanializzate e la reliquia destinata alla fusione. Sotto la dominazione austriaca, già nel 1814 la Scuola fu destinata a pubblico magazzinoe nel 1856 su iniziativa di Gaspare Biondetti Crovato, l’edificio della Scuola venne riacquistato da 83 benemeriti imprenditori privati che ne evitarono la demolizione.

Nella seconda metà dell’800 dunque la Scuola rinasce, e con essa le sue raffigurazioni, quando con orgoglio i confratelli mostrano quanta bellezza si fosse generata nel cuore di Venezia grazie all’amore e la fede dei veneziani. Per questo motivo, riprendendo un piccolo quadro ottocentesco, abbiamo portato in mostra abiti femminili e maschili che rappresentano una svolta non solo per la storia della Scuola, ma anche per la moda. L’uomo indossa una finanziera che potrebbe benissimo essere indossata oggi, a mostrare come la moda maschile abbia finito oltre un secolo fa di seguire grandi sconvolgimenti, mentre la donna continua con la sua sperimentazione. Accanto alla coppia ottocentesca, una dama della fine del secolo, indossa un prezioso abito che mostra come Venezia ricominci ad essere meta del turismo internazionale.

Il merletto

Ma è col 1910 che Venezia torna al suo periodo di fulgore, qui rappresentato dalla donna che salvò la cultura del merletto veneziano, la Contessa Marcello, moglie del confratello che negli anni quaranta, con grande coraggio, per salvare la reliquia dalle razzie e dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, la nascose in un luogo segreto sino alla fine della guerra, conservando il nascondiglio a costo di rischiare la propria vita. Una lunga storia quindi, quella della moda veneziana, strettamente connessa alla storia della Serenissima che è stata scritta in ogni pietra e mattone che costituiscono la Scuola Grande San Giovanni Evangelista. Fino al 6 gennaio da mercoledì a domenica, con orario 9.30-14/14.30-17.15. Ultimo ingresso ore 16.45.

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