Superficie in R4, a l'Avogaria un viaggio tra oggetti impossibili e flusso di coscienza
Martedì 4 dicembre 2018, presso il “Teatro a l’Avogaria” di Venezia (Dorsoduro 1607, Corte Zappa), va in scena “Superficie in r4” per la regia di Federica Garavaglia interpretato da Irene Curto. Uno spettacolo nell’ambito del ciclo de i "Martedí dell'Avogaria", rassegna che propone in laguna alcuni fra le piece più interessanti della nuova scena drammaturgica nazionale.
Lo spettacolo
In fisica con la terminologia “superficie in r4” si definisce quella area ideale in cui si progettano gli oggetti in quattro dimensioni, altrimenti detti oggetti impossibili. Al centro della performance di Irene Curto, che unisce testo poetico, video e musica, domande esistenziali, intervallate da momenti in cui con ironia, a volte esilarante, la protagonista esterna disagi più deliziosamente umani come il rapporto con il suo corpo o il sesso. Un turbolento e ironico flusso di coscienza sviscera a colpi di versetti e rime baciate le presunte e possibili risposte al paradosso esistenziale: chi sono io? Una mattina, dopo una nottata di festa, una ragazza si sveglia vittima di una strana espansione della coscienza.
Vicino a lei c’è un dj. Una figura simile a lei, quasi il suo doppio o alter-ego maschile, che la accompagna, la guida, ritmando l’inno, a volte l'invocazione. Un mix di stili, dove collidono armoniosamente scenette comiche, dj set glam, brandelli lirici di versi poetici, sfilate di moda, provini, pranzi con la madre, videoproiezioni, dance floor, armadietto, cameretta, paranoie, peluche, eros e webcam. Un inno all’unicità, che può esprimersi soltanto se si toglie il freno inibitorio delle convenzioni, del giudizio, della borghesia, delle convinzioni limitanti.
Unicità come mostro ancestrale
Come dice l’autrice e interprete, Irene Curto: «L’unicità è un mostro ancestrale e primordiale che teniamo educatamente a bada. L’invito di superficie in r4 è di far uscire questo mostro, di farlo sanguinare e strabordare, superando i confini dell’identità falsa e preconfezionata, che ci impone la società, per risorgere ad una nuova festa, ad una nuova libertà di esprimere noi stessi».