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Morto Carlo Petrini: "Quella volta che ci doparono nel match contro Venezia"

L'ex attaccante di Milan e Genoa fu il primo a denunciare il doping nel calcio. Raccontò che nel 1968 nello spareggio contro i lagunari per non retrocedere vennero "siringati" prima della partita

Lutto nel mondo del calcio. E' morto, nel reparto di oncologia dell'ospedale di Siena dove era ricoverato da sabato, Carlo Petrini, 64enne ex calciatore di Genoa, Milan e Torino, tra le altre. L'ex attaccante degli anni Sessanta e Settanta vinse una Coppa dei Campioni nel 1969 con i rossoneri e la Coppa Italia nel 1971 con i granata. Dopo il suo coinvolgimento nello scandalo del calcioscommesse nel 1980, divenne famoso per essere stato il primo a denunciare l'uso "forsennato" di doping nel mondo del calcio durante i suoi anni di attività agonistica.

Nel 2000 Petrini pubblicò la sua autobiografia, intitolata "Nel fango del dio pallone" in cui narrò in prima persona fatti e trascorsi che in precedenza erano rimasti chiusi negli spogliatoi da decenni. E nei suoi racconti finisce anche il Venezia, più precisamente per lo spareggio che mise di fronte il Genoa e i lagunari per non retrocedere in serie C. Quella fu il primo match di un minitorneo di 16 partite tra quattro squadre che poi decretarono il declassamento del Venezia.

"Era giugno inoltrato del 1968. Tornarono a somministrarci un cocktail di farmaci, tenuto dentro bottigliette rotonde di vetro, con tappi adatti per l'aspirazione della siringa. In quell'occasione un mio compagno volle esagerare: una siringata prima del via e un'altra, identica, durante l'intervallo - raccontò l'ex attaccante il 7 dicembre 1998 al Corriere della Sera - Beh, schierato accanto a me, prendeva botte, si proponeva e reagiva senza un attimo di respiro. Pareva Pelé, un drago".

E quelle "siringate" contro le quali il Venezia si scontrò, secondo Petrini non erano un caso isolato nel Genoa di quei tempi. "Contro il Verona, in campo neutro a Ferrara, ci siringarono un'ora prima dell'inizio della partita e ci raccomandarono di fare un riscaldamento lento, senza scatti - ricorda Petrini nell'intervista - Dopo venti minuti mi scoppiò il fuoco in corpo, ero un assatanato che, saltando, arrivava al soffitto dell'androne dello stadio ferrarrese, alto quasi tre metri. In campo ci ritrovammo trasformati, saltavamo addosso agli avversari con la lingua gonfia e una bava verdognola attaccata alla bocca. Credo non cambiassero nemmeno gli aghi delle siringhe. Di certo, le "bottigliette miracolose" non erano sterilizzate. Passavano il batuffolo di cotone, imbevuto in un po' d' alcool e ci facevano la puntura. Così, pieni di propellenti, arrivavamo pure dove non si poteva, ignorando la soglia della fatica. Scatenati, inesausti e insonni fino alle quattro - cinque del mattimo. Infine stremati, dentro a un bagno di sudore".

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