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L'amore per la Reyer senza confini, raggiunge la vetta dell'Himalaya

Marco, 48enne esperto scalatore di Mira, ha deciso nella sua ultima spedizione in Nepal di portare con sé anche i vessilli orogranata

La passione per la Reyer raggiunge vette inimmaginabili. O meglio, raggiunge la vetta più alta di tutte. Così la squadra orogranata per una volta (è proprio il caso di dirlo) ha potuto guardare dall'alto in basso tutte le altre squadre del mondo, comprese quelle NBA. Marco, 48enne di Mira ed esperto scalatore, stavolta ha deciso di portare con sé a seimila metri di altitudine anche la passione per la propria squadra. Lì, sulla montagna Langhisa. In una missione esplorativa nel lontano e affascinante Nepal.

“La spedizione ci ha visto impegnati per poco meno di un mese nella Valle del Langtang in Nepal - spiega Marco - Il programma iniziale era quello di salire verso l’Hinku Valley nell’area nepalese dell’Everest ma il brutto tempo impediva ai piccoli aerei “Pilatus” di raggiungere la località di Lukla da dove avremmo iniziato a risalire la valle. Fortunatamente sono 25 anni che frequento e studio il territorio del Nepal e così ho cambiato velocemente programma per evitare di perdere giorni a Kathmandu nella speranza di trovare un volo. Ho cambiato meta, il Langshisa, una montagna di 6.427 metri. Via terra, con una jeep, abbiamo raggiunto l’inizio della valle del Langtang per poi risalirla al campo base. E’ diventata una spedizione esplorativa poiché non avevo la minima informazione sulla montagna che andavamo a scalare se non che era bella e affascinante da vedere".

Una volta a bordo della Jeep si sale fino in cima: "Abbiamo posizionato il campo base a 4.200 metri - continua Marco - in una località dove di notte ci veniva a trovare il leopardo delle nevi e degli yak allo stato brado pascolavano quotidianamente. Siamo saliti installando solo un campo intermedio a 5.000 e senza avere la possibilità di individuare una via di salita che non comportasse rischi eccessivi. Il mio zaino pesava 45 kg, quello di Ursula 30. Abbiamo raggiunto quota 6.000 senza poter individuare un accesso alla vetta. Abbiamo deciso di tornare al campo base per poi tentare una salita veloce e senza carichi eccessivi dopo un paio di giorni. Il bel tempo ci ha accompagnato per tutto il periodo ma negli ultimi giorni si è tutto rannuvolato e si è alzato un forte vento. Alla fine si doveva tornare a casa e abbiamo dovuto rinunciare comunque appagati per una salita nel rispetto dei più puri canoni alpinistici, senza portatori d’alta quota, senza corde fisse e portandoci tutto in spalla. Una spedizione esplorativa che mi ha ricordato le spedizioni degli anni ’50 dove si affrontava l’ignoto. Anche per noi è stato cosi".

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