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Giovedì, 25 Aprile 2024
Mestre Mestre Centro / Via Piave

Otto anni di carcere e 74mila euro di multa per il "boss" di via Piave

Keke "Luca" Pan, il re della prostituzione di Mestre, ha ricevuto il verdetto del giudice. Assieme a lui condannati anche la madre e lo zio

Aveva costruito un impero nel cuore di Mestre, trasformando via Piave nella sua personale “strada del piacere”, dove di nascosto dagli occhi delle autorità cittadine era possibile trovare ragazze pronte ad esaudire ogni perversione, ora però per Keke “Luca” Pan è arrivato il conto della giustizia, ed è davvero salato. Il magistrato ha infatti condannato il boss della prostituzione a sette anni e otto mesi di carcere e a pagare una multa di ben 74mila euro.

SEQUESTRI E CONFISCHE – Si è conclusa così la difficile udienza presieduta dal giudice Massimo Vicinanza, che ha dovuto decidere anche della sorte degli altri accusati e della cinquantina di beni immobili sequestrati a Pan: assieme a lui sono infatti finiti a processo la madre 64enne e lo zio, entrambi condannati a quattro anni e sei mesi. Diversa invece la decisione per quanto riguarda il veneziano inizialmente ritenuto il “secondo” dell'imprenditore dello sfruttamento: assolto per non aver commesso il fatto. Per quanto riguarda invece i numerosi possedimenti di Pan, già posti sotto sequestro, si è stabilita la confisca definitiva. Il magistrato ha dovuto destreggiarsi anche tra la rete di richieste di rinvii a giudizio e patteggiamenti vari, ma pare che alla fine il martelletto sia stato battuto comunque.

LE ACCUSE - Nel corso delle indagini sui centri massaggi in via Piave e in via Sernaglia, dove le ragazze “clandestine” venivano impiegate come autentiche squillo, erano emerse anche altre condotte criminali di Pan: il “boss” era stato anche accusato di aver alterato alcuni interrogatori in cui era stato chiamato dall'autorità giudiziaria come interprete. Pan avrebbe infatti omesso nelle sue traduzioni ogni accenno al suo stesso coinvolgimento. L'imprenditore cinese era inoltre considerato a capo di una fitta organizzazione dedita al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, una ragnatela di contatti che, a quanto avevano scoperto gli inquirenti, arrivava persino negli uffici delle autorità cittadine.

RETE ILLEGALE - Assieme a "Luca" erano finiti nei guai anche sua moglie, 34 anni; il contabile sandonatese di 63anni che si occupava dell’amministrazione delle attività; un 36enne, titolare di un'agenzia immobiliare di Cavarzere che si occupava degli appartamenti per gli stranieri da regolarizzare; una 42enne e una 22enne, titolare e dipendente dello studio di San Donà, che si occupava di contratti e buste paga per gli “impiegati” di Pan; un uomo di 39 anni, del Lido di Venezia, e una donna di 42 anni, di Marghera, stretti collaboratori di Pan nella gestione degli immigrati. Per dodici indagati l'imputazione principale resta quella di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ultimo nell'elenco degli indagati, infine, è un 47enne di Cavarzere, accusato di aver incendiato l'auto di un carabiniere come gesto intimidatorio per convincerlo a bloccare le indagini sul conto di Pan. La “rete” illecita di Pan faceva infatti apparire i suoi “lavoratori” come in possesso di abitazioni e impieghi regolari, o come parenti ritrovati di stranieri già in Italia.

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